Cultura e Spettacoli

Elias Kazan e Joseph Hayes scrittori del «CinemaScope»

Un piccolo editore pubblica due romanzi dei maestri della Hollywood inquieta

Tra le tante cose inusuali riscontrabili nell’attuale panorama editoriale nostrano, ci sembrano perlomeno singolari le scelte cui s’impronta la strategia culturale dell’editrice di recente esordio «Mattioli 1885». Già due anni fa, fummo un po’ sorpresi dalla sortita, per conto di questa stessa casa, dell’imponente volume Vita sul Mississippi di Mark Twain sia per l’elegante cura tecnica-grafica, sia per il rigoroso recupero di un testo fors’anche fin troppo datato del popolare scrittore nordamericano. Tutto ciò, ancor più per il fatto che, dal 2005 a oggi, «Mattioli 1885» ha dato altresì alle stampe parecchi classici di autori largamente frequentati come Jack London, Joseph Conrad, Bret Hart, Aldous Huxley, Rebecca West e, ultimi ma non ultimi, Elia Kazan e Joseph Hayes.
In ispecie questi due autori sembrano destinati a destare precisi interessi e qualche dotta curiosità.
L’opera del primo, Il compromesso, è un romanzo abbastanza noto dello scrittore-cineasta che, nel 1969, ne trasse (salvo marginali modifiche e alcuni aggiornamenti) un film di vistoso successo interpretato da un cast d’eccezione: Kirk Douglas, Faye Dunaway, Deborah Kerr. Analogamente, l’altro romanzo Ore disperate di Joseph Hayes (a sua volta drammaturgo e sceneggiatore di valore) approdò prima a Broadway (protagonista un giovanissimo Paul Newman) e poi, nel 1956, sullo schermo (interpreti di spicco: Humphrey Bogart, Fredrich March) per la robusta trascrizione cinematografica del regista William Wyler. Inoltre, nel 1990, Michael Cimino firmò un’altra versione di Ore disperate, con l’accoppiata di punta Anthony Hopkins e Mickey Rourke.
Quanto a Elia Kazan (1909-2003), teatrante e cineasta di talento, già accreditato di prestigiose benemerenze (fondatore dell’Actor’s Studio; premiato con cinque Oscar) e regista di memorabili realizzazioni per lo schermo (Fronte del porto, Viva Zapata, Un tram che si chiama desiderio, La valle dell’Eden e, appunto, Il compromesso) a suo tempo macchiatosi della colpa d’aver fatto il delatore per la commissione di Joseph McCarthy che, negli anni Cinquanta, scatenò la «caccia alle streghe» contro attori, registi, tecnici poi allontanati da Hollywood, trasfonde in quest’opera tutta la sua turbata coscienza. Prospetta in questo sofferto lavoro cinematografico la tragedia autodistruttiva di un giornalista di successo che, pur borghesemente accasato, dà sfogo irrazionale a inquietudini, voglie matte, trasgressioni esiziali. In un lungo, ondivago flash-back (tanto nel romanzo, quanto nel film) dopo un rovinoso incidente d’auto, rievoca, desolato, la sua corsa insensata verso la perdizione. Cercando, attraverso le figure centrali della sua vita, la moglie Florence e l’esosa amante Gwen, di riafferrare il bandolo del suo inesorabile annientamento. Va detto subito che il film Il compromesso sopravanza sensibilmente l’omonimo romanzo, pur se questo si dimostra un lavoro di solido, originale pregio letterario.
Un discorso per tanti versi simile s’impone anche a proposito di Ore disperate di Joseph Hayes, ma a carte invertite. Personalmente, pur avendo apprezzato a suo tempo le forti caratterizzazioni drammatiche di Humphrey Bogart e di Fredrich March in una vicenda giostrata sull’insidioso gioco psicologico (anzi, patologico) nello scontro tragico tra un padre di famiglia minacciato di morte, insieme a moglie e figli, e un gangster spietato, ci è parso grandemente più intenso, meglio strutturato e con una progressione narrativa incalzante, il romanzo di Hayes.

Detto questo, va posto in debito rilievo il fatto che la duplice sortita dell’editrice «Mattioli 1885» costituisce senz’alcun dubbio una novità ampiamente positiva.

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