Politica

Embrioni, capolavoro di ipocrisia

Per una volta siamo in perfetta sintonia con Marco Cappato, parlamentare radicale e segretario dell'Associazione Luca Coscioni, che definisce l'accordo raggiunto dal Consiglio europeo in tema di ricerca sulle staminali, come «un capolavoro di ipocrisia». La nuova posizione europea è studiata apposta per dribblare le questioni etiche, e cercare un aggiustamento di fatto, del genere una mano lava l'altra. Gli embrioni si possono distruggere, ma con discrezione: ogni nazione lo può fare con i propri soldi, a casa sua, senza coinvolgere direttamente nello spinoso problema l'Unione Europea. Solo una volta create le linee di cellule staminali embrionali, arriveranno ai progetti di ricerca i fondi europei, con una spartizione dei compiti moralmente ambigua ma praticamente efficace: il lavoro «sporco» si fa nei laboratori privati, nei Paesi dove la legge lo consente, mentre l'Europa interviene nella seconda fase della ricerca. Si finge di non sapere che per estrarre linee cellulari dall'embrione non è necessario un grande sforzo economico, e che proclamarne la non finanziabilità, una volta che siano garantiti i fondi per proseguire nelle fasi successive, non crea alcun ostacolo a questo tipo di ricerche.
Se il ministro Mussi non avesse ritirato la firma alla Dichiarazione etica, che diceva un chiaro no alla ricerca sugli embrioni umani, il cosiddetto blocco di minoranza costituito da Italia, Germania, Austria e altri paesi avrebbe evitato questa decisione pasticciata e ambigua.
Ma l'accordo di ieri rispecchia pienamente la duplicità della mozione approvata mercoledì al Senato dalla maggioranza, che mette insieme «il sostegno finanziario alle ricerche che non implicano la distruzione di embrioni» e la verifica «della possibilità di ricerca sugli embrioni sovrannumerari». Una conciliazione impossibile nella sostanza, perché per verificare l'impiantabilità degli embrioni è necessario scongelarli, e una volta scongelati, che farne se non c'è una donna disposta ad accogliere quella vita nel proprio grembo? È evidente che a quel punto non resterebbe altra soluzione che l'utilizzo come materiale di ricerca. Porre la questione dell'impiantabilità degli embrioni apre le porte alla loro distruzione, e soprattutto alla proliferazione dei sovrannumerari, nella certezza che, prima o poi, potranno essere destinati ai laboratori. Emma Bonino ieri ha scoperto il gioco, affermando con chiarezza che l'embrione è cosa e non persona, e che le cellule derivate dalla sua distruzione sono merci che devono circolare liberamente attraverso le frontiere europee. In piena coerenza con questa impostazione, dice la Bonino, dalla mozione approvata al Senato è stato eliminato consapevolmente ogni riferimento «al rispetto della vita umana a partire dal concepimento».
L'Italia ha scelto la via del dico-e-non-dico, del faccio-e-non-faccio, in cui la lotta politica si sposta dalla norma alle sue interpretazioni, che ogni componente della maggioranza può tentare di tirare dalla sua parte. Anche l'Europa sembra aver imboccato la stessa strada, e va avanti barcamenandosi, senza alcuna chiarezza.

L'unica verità è quella offerta dall'assoluta mancanza di risultati terapeutici della ricerca sulle staminali embrionali, che ormai persino la Bonino ammette; solo il ministro Mussi sembra ancora convinto che la distruzione degli embrioni umani sia un atto di «solidarietà dell'altro», necessario ad affermare «il principio etico della cura».

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