Politica

Epatite C, cura più veloce Guerra al virus in tre mesi

La nuova terapia, tutta italiana, consentirà a quasi due milioni di italiani una migliore qualità della vita

Michela Giachetta

da Roma

Dall’epatite virale C si guarisce. E questo si sapeva. Ma già da oggi si potrà guarire più in fretta, evitando gli effetti collaterali tipici delle cure lunghe. È il risultato di una ricerca condotta da 12 centri italiani: si tratta di una rivoluzione terapeutica che interessa tre italiani su cento, quasi due milioni di persone (tanti sono quelli colpiti dal virus), e la metà non sa di essere portatore dell’infezione e di correre gravi rischi. Ecco perché è stata definita «un’epidemia silenziosa». Curabile sì, ma fino a ieri con tempi molto lunghi. «Le attuali terapie - spiega Alessandra Mangia, dell’istituto di Ricerca e cura a carattere scientifico “Casa Sollievo della sofferenza” di San Giovanni Rotondo - oltre ad essere lunghe sono molto pesanti. Possono dare anemia, depressione dovuta ai cambiamenti dello stile di vita a cui si è costretti, un acuto senso di debolezza». Con la nuova cura, che è il risultato della combinazione dell’interferone peghilato alfa-2b con la ribavirina, assunti con un nuovo modello terapeutico tutto italiano, questi effetti non scompariranno, ma saranno notevolmente ridotti. Sembra poca cosa, ma tutte le persone sottoposte a questo o altri tipi di cura sanno che non lo è. Migliore qualità di vita, meno farmaci da assumere, meno assenze sul lavoro. Un guadagno non solo per i malati, ma anche per la collettività. La terapia di un paziente con epatite C è costosa: per sei mesi (questo il tempo della cura tradizionale) è di circa 7mila euro. «Adottando una terapia più breve si ipotizza un risparmio - spiega il professor Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’ospedale “Casa sollievo della sofferenza” -. Non solo per il minor utilizzo di farmaci, ma anche per tutti gli altri atti medici di cui il paziente necessita, dagli esami diagnostici, alle giornate di degenza, al lavoro perduto».
La nuova terapia riguarda i pazienti con genotipo 2 e 3 (il genotipo è l’insieme dei caratteri ereditari di un organismo): dopo un mese dall’inizio del trattamento in queste persone non è stato più riscontrato il virus dell’epatite C. Su di loro poi si è continuata la cura: si è quindi osservato che non necessitavano di un prolungamento della terapia a 24 settimane (il tempo della cura «tradizionale»), dal momento che dopo solo 3 mesi sono state ottenute percentuali di risposta uguali a quelle dei malati trattati più a lungo.
Saranno in molti a beneficiare di questa nuova terapia e dei farmaci già disponibili e interamente spesati dal servizio sanitario nazionale. Circa il 3 per cento della popolazione italiana, infatti, è portatrice del virus dell’epatite C. Ogni anno si registrano 500/600 nuovi malati. E l’infezione diventa cronica nel 70-80 per cento dei casi. I più colpiti sono le persone anziane, soprattutto gli over 60. Il motivo di questa incidenza è dovuta soprattutto all’abitudine diffusa fra gli anni’50 e ’80 di usare non siringhe usa e getta, ma quelle «bollite in casa». Senza dimenticare le trasfusioni di sangue «poco sicure» fino agli inizi degli anni ’90. Oggi l’epidemia è in calo. Ma c’è il rischio che si possa «riaccendere». Sotto accusa piercing e tatuaggi effettuati in centri non autorizzati, sulla spiaggia o da professionisti improvvisati.

Per evitare problemi basterebbe usare un po’ di accortezza e accertarsi che le norme igieniche siano rispettate.

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