Politica

Gli eredi dei padrini con il destino segnato

da Roma

Se in Italia i figli degli industriali seguono la via tracciata dal padre, così spesso anche i figli degli avvocati, dei notai, dei giornalisti, e le professioni sono ereditarie, nel mondo della criminalità organizzata «la famiglia» è un caposaldo. E il nucleo centrale dell’organizzazione mafiosa coincide con i rapporti di parentela. L’ultimo caso evidente è venuto fuori ieri con l’arresto del figlio del catanese Nitto Santapaola. Cosa nostra è un susseguirsi di figli d’arte. Ci sono i due maschi di Riina, i figli di Pullarà,i figli di Madonia, i figli di Montalto, sino al figlio di Lo Piccolo che quando venne arrestato con il padre due mesi fa, platealmente lo abbracciò dicendogli «ti amo, papà». Fanno eccezione i due figli di Binnu Provenzano, le due figlie femmine di Riina, che pur non rinnegando il padre fanno la loro vita normale. Fa ancora più eccezione Peppino Impastato, il giovane della sinistra extraparlamentare di Cinisi ucciso nel ’78 dopo gli scontri con il clan Badalamenti di cui il padre faceva parte.
Un lungo elenco fatto di destini segnati, dove risulta spesso l’impossibilità per la stragrande maggioranza di abbandonare il mondo paterno. Non l’ha mai fatto Santino Pullarà, figlio del boss di Santa Maria di Gesù, Giovanni,erede di Stefano Bontade, che adesso sconta due ergastoli. Neanche Mico Farinella, figlio di Giuseppe, boss di Castelbuono, che ha sposato la figlia di Pullarà. Oggi in carcere.
Storie sul filo della tragedia greca, quelle dei figli di Riina, vissuti in latitanza con il padre sin dalla loro nascita. Sono arrivati in taxi a Corleone con la madre dopo l’arresto del padre nel gennaio del 1993. Le due femmine sembrano voler restare fuori da quel mondo e la grande, Concetta, venne addirittura, non senza polemiche, nominata capoclasse quando al rientro a Corleone iniziò a frequentare la scuola con molto profitto.
Non così i suoi fratelli: Giovanni, oggi ha circa 31 anni è in carcere per essere stato condannato in via definitiva all’ergastolo per triplice omicidio. Quando venne arrestato non era ancora maggiorenne, così come il fratello Giuseppe, che invece venne assolto dal reato di triplice omicidio e gli rimase una condanna a 14 anni per estorsione e associazione mafiosa. La Cassazione ha di recente annullato senza rinvio la condanna per estorsione e rinviata quella per associazione mafiosa.
I figli di Provenzano, anche loro nati durante la latitanza, hanno oggi 29 anni, Angelo e 25 Paolo. Quando rientrarono a Corleone avevano sedici e nove anni . Presero a studiare e mentre Angelo prese il diploma e tentò di aprire una lavanderia (poi gli venne revocata la licenza) Paolo si è laureato in lingue e venne assunto come lettore di italiano in una scuola tedesca. Da cui fu allontanato dopo alcuni articoli usciti sulla stampa. Oggi vivono entrambi in paese, con la madre, e Angelo ha iniziato a fare il venditore di aspirapolvere.
Figlio d’arte è Matteo Messina Danaro, latitante, oggi capo di Cosa nostra. Il padre Francesco era un boss di Trapani, campiere ma anche un esperto di archeologia.
Giovanni ed Enzo Brusca sono i figli del boss patriarca Bernardo, morto in carcere a 82 anni. Oggi sono entrambi considerati collaboratori di giustizia. C’è la storia di un figlio che rimane nella memoria di tutti: quella del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di Santino, pentito.

Giuseppe venne sciolto nell’acido da Enzo Brusca per punire il padre che aveva cominciato ad accusare «la famiglia».

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