Crisi siriana

Assad, da mite oculista a nemico numero uno degli Usa

Il leader siriano è al suo posto per caso: il fratello Basil, designato alla successione, morì a 34 anni

Assad, da mite oculista a nemico numero uno degli Usa

Bashar al Assad non è Saddam Hussein finito sulla forca e neppure il colonnello Gheddafi linciato a Sirte. Farlo fuori, come vorrebbero in molti, non sarà un'impresa facile. E pensare che nel giugno 2000, quando Bashar ha ereditato dal padre Hafez, la carica di presidente, la successione era stata salutata come una svolta positiva per la Siria. A tal punto che la stampa Usa lo definiva bonariamente «il timido dottore», che avrebbe potuto dare speranza al Paese.
Oggi è diventato il nemico pubblico numero uno accusato di gasare la sua gente, ma la storia del presidente siriano parte in tutt'altra direzione. Nato l'11 settembre di 48 anni fa ha l'altezza di un giocatore da pallacanestro. A Damasco si laurea diventando oculista, a differenza del padre militare di ferro. Nel 1992 si trasferisce a Londra per continuare gli studi, dove ritrova Asma al Akras, rampolla di una nota famiglia sunnita. I due si conoscono fin da bambini e lei lascerà la promettente carriera nel mondo bancario internazionale per sposare Bashar. Donna di mondo non abbandonerà, però, l'attrazione per lo shopping di lusso.

Il giovane Assad, che parla inglese e francese, neppure pensa alla successione a Damasco fino a quando nel 1994 un'incidente stradale toglie la vita a Basil, il fratello maggiore adorato dal padre. Il «timido» Bashar viene preferito all'altro fratello, Maher, che oggi comanda la terribile 4ª divisione meccanizzata della Guardia repubblicana. Il futuro presidente, che ama il nuoto e naviga in internet, entra in fretta e furia nell'accademia militare, ma alla morte del padre ha solo 34 anni. Per questo devono cambiare la costituzione, che prevede un capo dello Stato non al di sotto dei 40.
Le potenze occidentali accolgono positivamente il giovane presidente di un Paese come la Siria in perenne conflitto con Israele. I suoi primi anni al potere sono ricordati come «la primavera di Damasco» per le riforme economiche, che aprono agli investitori stranieri e le timide aperture politiche. In realtà la Siria rimane un Paese ancora lontano dalla democrazia a maggioranza sunnita, ma guidato da Assad che rappresenta la minoranza alawita, per di più di fede musulmana sciita.

Il primo braccio di ferro del giovane Assad con gli americani inizia con l'invasione dell'Iraq del 2003. I servizi siriani aiutano i militanti islamici che vanno a combattere contro i marines a Bagdad. Come un boomerang i loro eredi della guerra santa ora sono tornati in Siria per abbattere il regime.
Nel 2005 l'assassinio del premier libanese, Rafiq Hariri, costa ad Assad la ritirata definitiva da Beirut. Con il vicino Iran la Siria firma un patto di mutua difesa ed il suggello dell'alleanza sciita è l'appoggio di Damasco ai miliziani libanesi di Hezbollah, che adesso ricambiano.
Il «dottore» non più timido continua a venir vezzeggiato dall'Europa. Nel 2010, il presidente Giorgio Napolitano gli consegna la più alta onorificenza italiana. Il Quirinale la revocherà lo scorso anno per il bagno di sangue della guerra civile. Non l'avevamo mai fatto neppure con Tito ed i coniugi Ceausescu.
Nel marzo 2011, un anno dopo la visita di Napolitano, la «primavera araba» esplode anche in Siria per diventare ben presto un inferno. Sul primo momento Assad silura ministri e promette cambiamenti, ma le forze di sicurezza sparano sui manifestanti. A loro volta i Fratelli musulmani, che hanno il dente avvelenato con la dinastia alawita, fomentano la rivolta, che sfocia in brutale guerra civile.

L'ex oculista presidente scampa ad un paio di attentati, veri o presunti, e si arrocca contro i «terroristi» quando vengono decapitati i vertici della Difesa a Damasco con uno spettacolare attentato. Nei primi anni al potere Bashar o la moglie Asma amavano farsi vedere nel centro di Damasco per poi cenare in ristorante con una blanda scorta. Il fine settimana lo passavano nella villa sul mare a Latakya, roccaforte alawita, con i tre figli piccoli. Adesso nel granitico palazzo presidenziale a Damasco si sente tuonare il cannone. Assad, dopo due anni di guerra civile e 100mila morti, compresi non pochi governativi sembra averlo lasciato da un pezzo in attesa del colpo di maglio americano.
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