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Autobomba uccide ex ministro La violenza contagia Beirut

Autobomba uccide ex ministro La violenza contagia Beirut

La scena è tristemente conosciuta a Beirut: il boato dell'esplosione, le carcasse annerite delle automobili, la concitazione dei soccorsi nel bel mezzo della normalità di un ricco quartiere commerciale, le coperte buttate sui resti dei corpi, i vetri rotti dei negozi, la colonna di fumo nero che si alza nel cielo, le sirene delle autoambulanze. Alle 9 e 45 circa di ieri mattina, un'esplosione ha ucciso almeno cinque persone, tra loro un ex ministro libanese, politico moderato, filoccidentale e vicino agli Stati Uniti, un critico della prima ora del regime siriano di Bashar El Assad e dell'alleato libanese di Damasco, le milizie sciite di Hezbollah.
Mohammed Chatah, sunnita, è stato ambasciatore del Libano negli Stati Uniti, ministro delle Finanze. Era attualmente consigliere economico del 14 Marzo, il blocco politico guidato da Saad Hariri, figlio di quell'ex premier Rafiq ucciso nel febbraio del 2005 proprio a pochi metri dal luogo dell'attentato di ieri. Soltanto un'ora prima di salire su quell'automobile per recarsi a un incontro del 14 Marzo, Chatah ha scritto su Twitter una frase che spiega da sola la profondità delle fratture settarie libanesi, rese più aspre da tre anni di guerra civile in Siria: «Hezbollah sta spingendo forte per ottenere per quanto riguarda la sicurezza e la politica estera poteri simili a quelli esercitati dalla Siria in Libano per 15 anni».
Al termine della guerra civile che ha sconvolto il Libano dal 1975 al 1990, Damasco è rimasto politicamente e fisicamente a gestire gli equilibri del piccolo vicino. Le manifestazioni di piazza che hanno percorso il Paese in seguito all'assassinio di Hariri a febbraio 2005 hanno portato al ritiro delle truppe siriane. La famiglia Hariri e i suoi sostenitori politici accusano Damasco e Hezbollah della strage e della catena di attentati a personalità antisiriane tra il 2005 e il 2008. Per alcuni analisti, Chatah potrebbe essere stato scelto come obiettivo per il suo coinvolgimento nel Tribunale speciale per il Libano, la corte internazionale che indaga sull'assassinio di Hariri e che il 16 gennaio aprirà il processo a quattro membri di Hezbollah, sospettati d'essere all'origine dell'atto.
L'esplosione di ieri non ha soltanto ucciso una delle figure più vicine a Hariri, ma ha anche ferito il cuore commerciale e moderno di Beirut. Per alcuni esperti in Libano è un messaggio. La ricostruzione del centro della capitale è stata traghettata dall'ex premier assassinato grazie anche ai capitali sauditi. L'alleanza tra i sunniti di Hariri e Riad in opposizione al legame tra Teheran, Damasco e Hezbollah spiega le tensioni che rendono più profonda l'insicurezza in Libano.
Le milizie sciite del Partito di Dio - impegnate in Siria a combattere accanto all'esercito di Assad - accusano i clan sunniti libanesi alleati di Riad di sostenere finanziariamente i ribelli siriani. Gli scontri in Siria si ripropongono in scala minore e con modalità diverse in Libano.
A Tripoli - città natale di Chatah - si affrontano spesso uomini armati sunniti e alauiti, setta religiosa del presidente Assad. Nelle scorse settimane, un'esplosione ha colpito l'ambasciata iraniana a Beirut e un'altra ha ucciso un alto comandante di Hezbollah, Hassan Al Laqees. Per alcuni, i fatti di ieri potrebbero essere una vendetta. A ottobre del 2012, nel cuore cristiano di Beirut è saltato in aria un altro uomo vicino a Hariri, il generale Wissam Al Hassan.
Così, ancora una volta eventi al di fuori dei confini del piccolo Paese levantino - altrimenti occupato dalle conseguenze di un recente boom immobiliare, dal via vai di ricchi turisti del Golfo, da una testarda quanto ormai proverbiale gioia di vivere nonostante le guerre - trascinano Beirut a suo malgrado nel vivo di un conflitto altrui, tra accuse e smentite.

Il delfino di Rafiq Hariri, Saad, ha accusato implicitamente Hezbollah (che condanna «il brutto crimine») dei fatti di ieri, e tante altre voci nel coro del 14 Marzo hanno fatto ricadere la colpa su Damasco, che ha negato ogni coinvolgimento.

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