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Blair striglia il Labour: «Nessuna vittoria se viriamo a sinistra»

L'ex premier contesta la linea del leader Miliband: "Troppi no, non siamo il deposito della rabbia"

Blair striglia il Labour: «Nessuna vittoria se viriamo a sinistra»

Più centro e meno sinistra. Più visione e meno opposizione. Sì al cambiamento e no alla difesa dello status quo. Perché per vincere e governare c'è bisogno di leader, non di compagni di viaggio.
Tony Blair torna di prepotanza nell'arena politica britannica. Lo fa nel suo stile, senza mandarle a dire, con un intervento che, pur non chiamando mai direttamente in causa l'attuale capo del Labour, Ed Miliband, ne mette apertamente in discussione la leadership e le possibilità - nonostante i sondaggi finora largamente favorevoli - che approdi al 10 di Downing Street. Perciò il suo intervento sul New Stateman, il settimanale bibbia della sinistra british, diventa l'occasione per un duello fra correnti, fra le due anime del Labour, una riedizione del vecchio scontro in seno al partito - che dal '97 in poi Blair ha vinto a mani basse - fra i paladini della sinistra dura e pura e i sostenitori della «Terza via». Le parole dell'ex premier hanno il sapore di un nuovo manifesto, destinatario il Labour e insieme tutte le forze della sinistra mondiale. Prima lezione: non illudersi. «Il paradosso della crisi finanziaria - scrive l'ex premier - è che, nonostante sia ampiamente attribuita alla sottoregolamentazione dei mercati, di fatto non ha portato a una decisiva virata a sinistra». Eppure, avverte Blair, «il rischio è che la sinistra sia convinta che ciò sia accaduto» e torni al vecchio scontro fra i due poli, «una battaglia che indebolisce la nazione invece che farla progredire» e rievoca gli anni Ottanta che aprirono le porte all'era Thatcher.
Seconda lezione: smetterla di difendere lo status quo. «I Conservatori sono tornati a vestirsi del mantello della responsabilità fiscale» mentre «il Labour è tornato a essere il partito che si oppone ai tagli dei Tory». Uno scenario che minaccia molto più la sinistra della destra, spiega Blair. «Il nostro principio guida dovrebbe essere: cerchiamo risposte, non trasformiamoci nel deposito della rabbia generale». E qui arriva la terza lezione, quella di un ex capo di governo che, nonostante l'impolarità in patria provocata dalla sua scelta di entrare in guerra contro l'Irak, è diventato un guru della sinistra mondiale: bisogna essere leader, non collettori del malcontento generale o semplici compagni di viaggio degli elettori. Altrimenti si accumulerranno «vittorie tattiche» che porteranno solamente «a sconfitte strategiche». Infine il suggerimento per vincere: serve posizionarsi in un'area di centro, «che alla fine è la più soddisfacente e la più produttiva per il partito e per il Paese».
Quanto basta per far saltare sulla sedia Ed Miliband e la sinistra che rappresenta, la stessa che Gordon Brown, mentore dell'attuale leader, ha incarnato nella sua disastrosa esperienza di governo dopo il miracolo Blair. «Tony Blair ha sempre cose importanti da dire - commenta rispettoso Miliband -. È il primo a riconoscere che i partiti hanno bisogno di andare avanti». Poi il mea culpa: «Sull'immigrazione abbiamo fatto alcuni errori. Non possiamo sempre difendere ciò che abbiamo fatto in passato». Ma sulla sua autonomia non transige: «Guido il partito a modo mio. Penso sia la cosa più importante».
Il braccio di ferro sembra appena cominciato. Blair esprime, con grande capacità di visione, il malcontento che in questi mesi sta attraversando una fetta del Labour, convinta che i «no» secchi alla riforma dello Stato sociale varata dal governo di David Cameron, i muri innalzati di fronte alla politica dei tagli alla spesa targata Tory alla fine non gioveranno al Paese e alla sinistra. Ne è certo Tom Harris, laburista con incarichi nel governo ombra: «Siamo un partito nato per i lavoratori, non un'associazione di beneficenza».
gaia.

cesare@ilgiornale.it

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