Crisi siriana

L'America al fronte con Al Qaida

C'è chi ricorda che apprestandosi a bombardare le posizioni di Assad dal cielo e dal mare, Barack Obama si troverà di fatto dalla stessa parte del fronte di Al Qaida: imbarazzante per un presidente che ama intestarsi l'eliminazione fisica di Osama bin Laden a riprova della coerenza della sua Amministrazione nella lotta al terrorismo islamico (anche se è lecito opinare che senza Bush lo «sceicco del terrore» sarebbe ancora al suo posto di combattimento). Sarà anche così, ma gli obiettivi della Casa Bianca e quelli dei qaidisti sono completamente diversi. La prima si accontenterà di ammaccare un po' il dittatore di Damasco, lanciando con l'occasione un messaggio ai suoi alleati di Teheran, mentre i secondi vorrebbero fargli fare la fine di Gheddafi e di Saddam.

A meno di sorprese (nessuno ha la sfera di cristallo), Assad uscirà un po' scosso ma vivo dall'imminente attacco occidentale e nemmeno gli orfani di Osama riusciranno a liquidarlo. Il vero problema è cosa succederà dopo. Le possibilità sono così numerose da far girare la testa: si va dal rischio di un'esplosione generale del Medio Oriente (se sarà tirato in ballo Israele) a quello del ritorno in grande stile del terrorismo in Occidente (già obliquamente minacciato da Assad), dal definitivo precipitare della Siria nel caos alla continuazione della situazione attuale (paradossale ma è la più probabile).

Poi c'è quella in cui spera Putin: l'America che s'impantana in un altro Vietnam.

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