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Uccisi figli e fratelli dei capi Benzina sul fuoco della rivolta

Il generale Sisi sta sbagliando strategia, e gli errori che sta compiendo lo condurrano a una guerra insopportabile in un Paese povero, disordinato, disapprovato da tre quarti del mondo. Innanzitutto, la Fratellanza Musulmana non è certo un nemico da poco, e gli onnipotenti militari l'hanno sottovaluta imprigionando, all'inizio, solo la leadership ufficiale e non il quadro intermedio organizzatore che seguita a gestire la piazza. La presenza della Fratellanza in tutti i paesi musulmani, il radicamento nella società egiziano dove è riuscita a diventare maggioranza benché perseguitato da decenni, la sua alleanza con i movimenti jihadisti più duri, dove ognuno è pronto a morire, ne fanno un nemico che non sarà mai disposto a mollare lo spazio conquistato da poco. In secondo luogo, il generale Sisi si è avventurato in quella spirale sanguinosa per cui fra i morti, i feriti, gli arrestati ci sono le proprie stesse viscere, e il perdono non esiste. Chi costringerà mai la Suprema Guida della Fratellanza Musulmana Mohamed Badie, che dirige l'organizzazione islamista dal 2010 e che è stato arrestato il 10 luglio, a venire a un qualsiasi compromesso con il nuovo governo ora che suo figlio Ammar Mohammed Badie di 38 anni, è stato ucciso in piazza Ramses con due pallottole? Ammar era un ingegnere elettronico, molto popolare e amato. Badie non potrà in nessun modo perdonare l'esercito responsabile della morte del figlio. Anche Asmaa, figlia diciassettenne del leader del Partito Giustizia e Libertà dei fratelli Musulmani Mohammed Beltagi, è stata uccisa. Un'altra faida definitiva si preannuncia dato che le forze di sicurezza hanno arrestato Mohamed al Zawahiri, il fratello del capo di al Qaeda Ayman, che ha sostituito Bin Laden alla sua morte. Basta pensare alla irriducibilità di Nasrallah, il capo degli Hezbollah, che ha perso il figlio in battaglia con Israele e il fratello guerrigliero in Siria. Il suo odio si placherà solo dando la caccia ai suoi nemici. Vicino al governo dei militari restano l'Arabia Saudita, la Giordania, i Paesi del Golfo, preoccupati per la nuova aggressività di Al Qaeda e delle forze jihadiste figlie della Fratellanza; Putin a sua volta si avvicina a Sisi, a caccia dello spazio perduto dagli Usa. Ma due grandi gruppi protestano contro Sisi di fatto appoggiando la determinazione della Fratellanza contro il compromesso. Da una parte l'Europa e gli Stati Uniti, orrificati dalla strage, desiderosi di ordine ma capaci solo di suggerire parole imbelli che ricordano la situazione siriana, sempre condannata e mai affrontata. Dall'altra parte, sono in marcia cortei di talebani, di jihadisti afghani, pakistani, sudanesi, yemeniti, tunisini... A Bengasi una bomba ha devastato la rappresentanza egiziana. La guerra pro e contro la Fratellanza Musulmana è cominciata, e oltre ai nostri buoni sentimenti, anche le organizzazioni jihadiste si muovono.

La battaglia umanitaria dell'Occidente può essere sfruttata contro di noi, sta ai leader europei e anche a Obama, fermare il sangue ma giuocare un ruolo intelligente e non autolesivo.

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