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"Ecco perché la Tunisia non finirà come l'Egitto"

La vedova dell'oppositore Belaid: il nostro popolo è un modello di tenacia. Governo islamico verso le dimissioni

"Ecco perché la Tunisia non finirà come l'Egitto"

Sono stati mesi difficili per la sua famiglia e per la Tunisia. Ora Basma Belaid saluta con ottimismo il nuovo corso politico innescato dal passo indietro del partito islamista che guida il governo. La battagliera vedova di Chokri Belaid, oppositore politico della sinistra laica assassinato a febbraio, al telefono con il Giornale spiega perché la Tunisia non sta andando oggi nella stessa caotica direzione dell'Egitto.

Il partito Ennahda, gruppo islamista che ha vinto le elezioni nel 2011, dopo stagioni di crisi politica e settimane di trattative ha accettato di presentare le dimissioni entro tre settimane e la formazione di un nuovo esecutivo di unità nazionale che conduca il Paese a nuove elezioni.

Davanti alle immagini di violenze in arrivo dall'Egitto, dove un altro movimento islamista ha vinto alle urne del dopo rivoluzione ed è stato messo da parte dall'intervento dei militari, di fronte a un confronto politico al Cairo che non accenna a risolversi, il faticoso compromesso a Tunisi suggerisce una possibile terza via. «È un passaggio positivo - dice la vedova Belaid -. Ennahda ha capito che è necessario uscire da una situazione bloccata. Il dialogo è quello che volevamo da tempo».

I capelli grigi arruffati, seduta nella cameretta dei suoi figli, a febbraio, in un colloquio con il Giornale a Tunisi, Basma aveva detto di ritenere il movimento islamista al governo responsabile politicamente per la morte del marito. Oggi, ricorda come Ennahda sia una componente della vita politica tunisina che non può essere ignorata e come soltanto il dialogo possa portare il Paese fuori da un'impasse politica, economica, di sicurezza.

Il partito Ennhada è stato indebolito negli ultimi mesi da battaglie interne, confronti politici, dall'emergere di gruppi religiosi radicali e violenti che hanno incrinato la sicurezza e la stabilità del Paese. Due assassinii politici hanno aggravato la crisi: quello di Belaid e a luglio quello di Mohamed Brahmi, un altro critico laico. Il malcontento popolare per la difficile situazione sociale ed economica ha eroso la capacità di Ennahda di mobilitare nelle strade un alto numero di sostenitori.

Le sorti dei Fratelli musulmani in Egitto - incapaci di scendere a compromessi politici durante il loro tempo al potere e poi forzati a lasciare - potrebbero aver contribuito a spingere i colleghi tunisini a concessioni, anche se gli scenari sono diversi: la Tunisia è socialmente più omogenea e l'esercito meno propenso a intervenire. Gli eventi egiziani hanno influito sul nuovo corso politico tunisino, ma il fattore più importante è tutto interno, sostiene Basma Belaid: «È la resistenza qui in Tunisia: le marce, le manifestazioni, gli incontri dell'opposizione non si sono mai fermati. La popolazione non ha più fiducia nel partito Ennahda».

C'è chi spera che l'accordo raggiunto possa ora rafforzare la sicurezza in un Paese spaventato dalle violenze politiche, dagli attacchi contro politici, artisti, attivisti anche se, spiega la signora Belaid, questo «dipenderà da Ennahda e dalla capacità dei suoi leader di gestire la propria base».

L'accordo è stato raggiunto sabato: nel giro di tre settimane dovrebbe essere formato un nuovo governo di unità nazionale, sarà adottata una Costituzione e presentato un calendario per elezioni. «Non deve restare soltanto una firma - dice la vedova Belaid - soltanto così questo compromesso potrà diventare una via da seguire» anche negli altri Paesi toccati dalle rivolte arabe.

Twitter: @rollascolari

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