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E di Giovanni Lo Porto nessuno si ricorda più

Silenzio assoluto da 13 mesi sul cooperante sequestrato in Pakistan

E di Giovanni Lo Porto nessuno si ricorda più

Un silenzio lungo due anni per l'unico ostaggio italiano ancora disperso, fino a ieri quando sono spariti altri due connazionali in Libia. Giovanni Lo Porto è stato rapito in Pakistan il 19 gennaio 2012 e da allora è calato l'oblio sul suo caso. Siciliano di 38 anni, è il sequestrato meno rivendicato dagli stessi tagliagole che lo hanno preso e il meno ricordato, almeno dai media e dall'opinione pubblica pronta a mobilitarsi per ostaggi blasonati come i giornalisti. La Farnesina adotta come sempre la tattica del silenzio, che dopo due anni non è più discrezione, ma cappa di piombo, se non tombale. Giancarlo, come lo chiamano gli amici, è stato rapito un giovedì sera mentre rientrava a Multan, città della regione pachistana del Punjab. Con lui c'era Bernd Johannes Muehlembeck, cooperante tedesco della Ong germanica Welt Hunger Hilfe, che aveva ingaggiato Lo Porto come logista. I due sono stati prelevati a poca distanza da un commissariato di polizia. Nel sud Punjab operano i gruppi del terrore Jaish-i-Mohammad and Lashkar-i-Jhangvi legati ai resti di Al Qaida e ai talebani. Dopo il rapimento i due ostaggi sarebbero stati ceduti alle bande jihadiste e portati nelle aree tribali, terra di nessuno fra Pakistan e Afghanistan. Nel dicembre 2012 il rapito tedesco è apparso in un video di 52 secondi. «Siamo in difficoltà. Per favore accogliete le richieste dei mujahiddin. Possono ucciderci in qualsiasi momento», dichiarava su dettatura. Per fortuna parlava al plurale, esile prova dell'esistenza in vita di Lo Porto. Dopo il video non è arrivata più alcuna notizia, almeno ufficialmente. «È strano questo lungo silenzio, ma bisogna tener conto che gli ostaggi sono tanti, in gran parte pachistani e servono ad ottenere soldi e scambi di prigionieri in tempi lunghi», spiega al Giornale Rahimullah Yusufzai da Peshawar. Decano dei giornalisti pachistani ha incontrato mullah Omar, il leader guercio dei talebani, intervistato Osama bin Laden, il defunto capo di Al Qaida e chiamava al satellitare il comandate Dadullah, quando teneva in ostaggio l'inviato di Repubblica Daniele Mastrogiacono. «È ancora poco chiaro quale gruppo li tenga prigionieri - sottolinea Yusufzai parlando del tedesco e di Lo Porto -. Non ho prove, ma penso che siano ancora vivi». In caso contrario qualcosa sarebbe trapelato. Il problema è che nella zona tribale si sta giocando un nuovo e sporco «grande gioco» fra pachistani, talebani e americani in vista del ritiro della Nato dall'Afghanistan. La Cia continua a colpire con i droni dal cielo e sorvegliare il territorio che nasconde decine di ostaggi. «I rapiti sono sempre più pedine, merce di scambio e assicurazione sulla vita in vista del ritiro da Kabul e dei negoziati a riguardo fra Islamabad ed i talebani. Veri e propri scudi umani» spiega una fonte del Giornale che conosce bene il caso. L'ostaggio tedesco richiede un coordinamento con la Germania. «Il silenzio dipende anche da loro» osserva la fonte, ma non basta. Il nostro governo deve affrontare i pachistani con decisione offrendo concessioni e facendo capire che dopo due anni il caso va risolto. Le Ong italiane si stanno mobilitando per non dimenticare Lo Porto, che sembra un rapito di serie B. Amici e colleghi hanno girato un video semplice ma toccante, lanciando una petizione su change.org.

Per dare una scossa alla politica con l'obiettivo di far aumentare l'impegno nel tirarlo fuori ci vuole di più, come era stato fatto per altri cooperanti presi in ostaggio: dopo due anni il silenzio non paga.

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