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E i jihadisti riaccendono la miccia del Sinai

Il baratro ora è a un passo. La mattanza dei 25 soldati egiziani bloccati e trucidati dai terroristi jihadisti nel nord del Sinai è un orrore annunciato. E rischia di diventare devastante consuetudine se il generale Abdel Fatah Al-Sisi e i suoi non troveranno un'alternativa politica alla violenta repressione dei Fratelli Musulmani.
Nel Sinai le infiltrazioni del terrorismo jihadiste tra le tribù beduine sono state all'origine degli attentati di Taba, Sharm El Sheik e Dahab costati la vita - tra il 2004 e il 2006 - a quasi 200 turisti, otto dei quali italiani. Quegli stessi terroristi arrivati nella Penisola al seguito dei convogli di armi destinati ad Hamas hanno già ucciso nell'ultimo anno una trentina di militari egiziani. Ora però le bande armate accampate tra le oasi e i sentieri del nord del Sinai minacciano di diventare la punta di lancia di un movimento molto più vasto capace di trasformare il Sinai in un territorio fuori controllo e trascinare l'Egitto alla guerra civile prima e alla bancarotta poi. La Fratellanza per quanto ideologicamente non distante dalle posizioni jihadiste si è sempre considerata una forza popolare più interessata alla competizione politica che non alla conquista violenta del potere. Le sue milizie armate dovevano contrapporsi all'esercito solo in situazioni estreme. Questa struttura garantiva anche il controllo dei militanti e bloccava eventuali tracimazioni alla lotta armata. La violenta repressione e la paventata messa fuori legge della Fratellanza minacciano ora di mettere in libertà le componenti più intransigenti spingendole a cercare rifugio nelle basi del Sinai. Dal punto di vista dei militari la concentrazioni degli elementi più pericolosi in un'unica località dovrebbe garantire, assieme alla collaborazione di Israele, la loro totale liquidazione.
La storia di Gaza dove gli israeliani hanno inflitto ad Hamas colpi durissimi senza mai riuscire a sradicarlo insegna però che le soluzioni militari non sono una garanzia di successo. E lo sono ancor meno se la forza trainante è un esercito egiziano dimostratosi largamente incapace di mettere a segno operazioni chirurgiche. Sfruttando un territorio incontrollabile, il sostegno dei beduini e il consenso generato da una repressione fuori misura, la nuova ondata terroristica rischia di trasformare il Sinai in un buco nero capace d'ingoiare le vite di migliaia di soldati e portare allo sfacelo il paese. Nei primi sei mesi di quest'anno, quando le riserve di valuta estera precipitavano sotto i dieci miliardi di dollari, l'Egitto si è tenuto in piedi grazie ai 2,4 miliardi di dollari assicurati dal Canale di Suez. Il resto delle entrate è stato garantito dal turismo e dal gas, ovvero da altre due risorse che richiedono il pieno controllo del Sinai.

Ecco perché la deriva terroristica che ha piegato, ma non ucciso l'Algeria rischia - vent'anni dopo - di seppellire l'Egitto e i suoi incauti generali.

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