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Ecuador illiberale, ma Assange non lo dice

Mr Wiki denuncia la "caccia alle streghe negli Usa". E si rifugia nell'ambasciata del Paese che arresta chi critica il potere

Julian Assange fa l'eroe dei due mondi dal balcone dell'ambasciata dell'Ecuador a Londra, ma è un teatrino dell'assurdo. Il paese sudamericano che gli ha dato ospitalità è denunciato da Human right watch per il pugno di ferro contro la libertà di stampa, di cui il fondatore di Wikileaks crede di essere il paladino.
Assange si è rifugiato nell'ambasciata ecuadoriana a Londra a metà giugno. Il 16 agosto il governo socialista del presidente Rafael Correa gli ha concesso lo status di rifugiato politico. Gli inglesi minacciano di arrestarlo con un blitz e Assange si presenta sul balcone chiedendo al presidente Barack Obama di farla finita «con la caccia alle streghe».
Peccato che i suoi nuovi protettori di Quito siano accusati, a cominciare dal presidente Correa, di essere dei nemici della libertà di espressione. Nel rapporto 2012, Human right watch, l'ong che monitorizza i diritti umani nel mondo, denuncia che in Ecuador «chi offende i funzionari governativi», a cominciare dei giornalisti, rischia «la prigione da tre mesi a due anni». La contestata norma è servita soprattutto al presidente Correa, salvatore di Assange, per mettere a tacere i media scomodi. Dal 2008 «18 giornalisti, direttori o editori» hanno subito questo trattamento, secondo l'ong locale Fundamedios. Il capo dello stato è riuscito a far condannare a tre anni di galera l'editorialista Emilio Palacio del quotidiano d'opposizione El Universo. Per un articolo giudicato diffamatorio Palacio ed altri tre giornalisti dovranno sborsare 40 milioni di dollari, una cifra esorbitante.
Non solo: per rispondere alle critiche il governo obbliga le tv ad interrompere i programmi trasmettendo le cosiddette «cadenas» degli aggressivi spot propagandistici. Amnesty international ha pure denunciato l'Ecuador di criminalizzare le pacifiche proteste degli indios con accuse di «terrorismo». Il socialista Correa sta mettendo nel mirino anche le ong, come la stessa Wikileaks, accusandole di «destabilizzazione». L'aspetto curioso è che proprio dai cablogrammi segreti del Dipartimento Usa, resi pubblici da Assange, risultava che Correa avesse nominato un capo della polizia corrotto. Il presidente ha fatto il diavolo a quattro finendo per espellere l'ambasciatrice americana rea di aver scritto il cablo a Washington. Poi ha proibito ai militari a stelle e strisce di utilizzare una base per il controllo dei narcotrafficanti ed infine è diventato protettore di Assange. In realtà Correa, economista che ha studiato negli Stati Uniti, si è avvicinato sempre più a Cuba, Iran e Venezuela, i nemici storici degli Usa.
Nel cambio di alleanze è rimasto stritolato un predecessore di Assange, l'ex capitano dell'esercito bielorusso, Alexander Barankov. Due anni fa è scappato in Ecuador grazie all'asilo politico e ha cominciato a denunciare, via blog, la corruzione del regime di Minsk. Tutto è cambiato con il riavvicinamento dell'Ecuador alla Bielorussia. Il povero Barankov è stato arrestato e dopo la visita di giugno a Quito del padre- padrone di Misnk, Alexander Lukashenko, rischia di venir estradato e condannato a morte per tradimento.
Tariq Alì, uno degli intellettuali, che a Londra osanna l'eroe di Wikileaks, su questa vicenda ha fatto una figuraccia. Di origine pachistana, con il passaporto britannico, saggista e figura di riferimento della sinistra dagli anni sessanta ha dichiarato raggiante: «Dal Venezuela alla Bolivia e all'Ecuador: questi governi radicali socialdemocratici offrono più diritti umani e sociali ai loro cittadini di quelli d'Europa». Quando i giornalisti di SkyNews gli hanno fatto presente il caso Barankov è rimasto senza parole.
Il teatrino messo in piedi da Assange con l'Ecuador è ancora più assurdo tenendo conto del fatto che il fondatore di Wikileaks non verrà spedito negli Usa. Lo reclama la Svezia per dubbi reati sessuali, ma il ministro degli esteri di Stoccolma, Carl Bildt, ha dichiarato al Financial Times: «Non estradiamo in paesi che applicano la pena di morte». In pratica «è assolutamente impossibile», secondo l'esponente del governo svedese, che Assange finisca dalla Svezia agli Stati Uniti. Forse ci penserà l'Ecuador se cambiasse di nuovo alleanze.
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