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La guerra islamica nella terra orfana del Nilo

Le immagini che giungono non solo dal Cairo ma anche da città come Suez e Port Said e da centri minori dimostrano due tragici fatti.

Il primo è che l'Egitto rischia di passare dallo stato di rivolta a quello di guerra civile. Il secondo, che l'esercito si è unito alle forze di polizia per schiacciare questa guerra all'inizio secondo il proverbio arabo: se vuoi tagliare la coda al cane che ami, non farlo a fette ma d'un colpo solo.

La domanda è ora se una violenta e sanguinosa respressione contro i sostenitori del desautorato presidente Morsi - che hanno respinto le proposte dei militari e del gruppo internazionale di mediazione, offerta di partecipazione al governo inclusa - basterà a riportare la calma nel paese.

Fare pronostici a caldo è impossibile perché gli interessi in gioco sono troppo grandi dalle due parti. I Fratelli musulmani non difendono soltanto la legittimità contro quello che vogliono far riconoscere dal mondo come un colpo di stato e la loro versione di «democrazia» ma il ruolo dell'Islam politico sunnita - in fase di piena affermazione grazie alla «primavera araba» - in tutti gli stati islamici contro il risveglio dell'Islam sciita.

Questo porta a uno schieramento di forze molto più largo e profondo di quello che in questo momento mette di fronte la caserma «nazionalista» e teoricamente apolitica e la moschea «internazionalista» e politica in Egitto.

La prima sostenuta da un coacervo di forze disorganizate e deboli che vanno dai cristiani terrorizzati da un regime islamico assieme a gruppi laici democratici privi di seguito e da un primo gruppo di rottura del fronte islamico: i radicali musulmani di Al Nour (che sperano di rimpiazzare in qualche modo i Fratelli musulmani al potere). Dietro a questo vacillante schieramento locale c'è quello di paesi sunniti come l'Arabia saudita e gli Emirati - che temono l'emergere politico e nucleare dell'Iran (e il tentennante squalificato occidente con Europa e l'America di Barack come esempi di ignoranza diplomatica e percezione storica).

La seconda, la moschea politica dei Fratelli Musulmani, con la sua capillare organizzazione sociale e scolastica che vede il suo appello al martirio sostenuto da una situazione di povertà di massa e di distacco dallo stato. Situazione che per molti egiziani rende la morte più attrattiva di una vita senza pane e senza speranza. Dietro di lei si schiera la Turchia preoccupata da un ritorno al potere dei militari in patria, l'Iran che sfrutta il fallimento della rivoluzione araba per aumentare il suo peso di immagine nel mondo musulmano oltre a quello strategico e nucleare. Russia e Israele stanno a guardare più preoccupati di quello che succede in Siria e del processo di tribalizzazione del mondo arabo che di quello che succede in Egitto.

La chiave della situazione nel Paese che con i suoi 80 milioni di abitanti resta leader del mondo arabo, non sta tanto nella sospensione della violenza (cosa sono 1000 morti fotografati nelle piazze del Cairo in confronto dei 100 mila morti non fotografati in un paese «piccolo» come la Siria?) ma in due fenomeni difficilmente trasformabili e neutralizzabili con rapidità da parte dei militari.

Il primo è che l'Egitto ha cessato di essere il figlio del Nilo. Il fiume e le sue strutture sociali, agricole e autoritarie, non sono più in grado di sfamare il terzo più povero della popolazione. La produzione extra agricola - industria e turismo - è in crisi profonda. Gli aiuti dall'estero - 12 miliardi dall'Arabia saudita e circa due dall'Occidente - vengono ingoiati senza rimettere in moto l'economia che richiede riforme che nessun governo in 30 anni è stato capace di fare oltre a una stabilità e sicurezza interna scomparsa col regime di Mubarak . Perché il popolo sa percepire e apprezzare che per un cambiamento per il meglio occorre un tempo che manca ai militari.

Il secondo fenomeno è la possibile trasformazione della rivolta di piazza in guerriglia armata. Nei Sinai è già in atto con la piena collaborazione fra militari israeliani e egiziani. In Egitto potrebbe diventare una tragica realtà se i Fratelli musulmani passassero all'azione armata e al sabotaggio, e se frange radicalizzate e periferiche della comunità cristiana copta - forte di 10 milioni di aderenti per il momento schierata coi militari - decidessero di armarsi col pretesto di creare un sistema di autodifesa. Ieri di nuovo è stata bruciata una chiesa.

Il peggio non è ancora successo ma la connessione innaturale fra beduini del Sinai e cristiani d'Alto Egitto dovrebbe essere seguita con più attenzione degli scontri di piazza fotogenici del Cairo.

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