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La guerra nel Mali può chiuderci il gas

Un terzo del nostro fabbisogno è coperto dall'Algeria. E i metanodotti sono a rischio di rappresaglia terrorista

La guerra nel Mali può chiuderci il gas

Nel 2011 abbiamo dovuto fare i salti mortali per non farci scippare gas e petrolio libico. Nel 2012 per allinearci alle sanzioni dell'Europa abbiamo rinunciato al greggio iraniano e alle commesse siriane. Nel 2013 la nuova avventura francese in Mali rischia di affossare i nostri interessi strategici in Algeria. L'attacco terroristico all'impianto di In Amenas rappresenta la prima durissima rappresaglia terroristica contro i Paesi che l'appoggiano l'intervento francese in Mali.
Da giovedì l'Eni, la Snam e le altre nostre aziende impegnate nel delicato settore del gas e del petrolio in Algeria sono in guerra. Una guerra da cui dipende il nostro fabbisogno energetico. O - per dirla più in soldoni - il riscaldamento delle nostre case. I numeri parlano chiaro. Nel 2011 gli impianti algerini e il metanodotto di Eni e Snam hanno garantito all'Italia circa 23 miliardi di metri cubi di gas pari al 32 per cento del nostro fabbisogno. E sul fronte del fabbisogno energetico non bisogna dimenticare i quasi 1,9 milioni di barili di greggio che arrivano ogni giorno dall'Algeria e soddisfano il 2,3% del fabbisogno italiano.

Il settore strategico resta però quello del gas. Su questo fronte le conseguenze dell'attacco di In Amenas si sono già fatte sentire venerdì quando, come informano i portavoce di Snam, «i flussi di gas provenienti dall'Algeria sono scesi a 32 milioni di metri cubi di gas rispetto ai 75,2 milioni importati di media in questo periodo». L'attacco a quell'impianto importante, ma ininfluente per le forniture all'Italia, basta dunque - per la legge dei vasi comunicanti - a far crollare del 17% il gas in arrivo a Mazara del Vallo. Immaginiamoci cosa succederebbe se nel mirino dei terroristi finisse uno degli impianti di Bir Rebaa, l'immensa area nel deserto sahariano sud-orientale dove l'Eni concentra la sua attività produttiva ed esplorativa. I blocchi Rom Nord 403a/d e Rom Nord, assieme ai blocchi 401a 402a e 403 di Bir Rebaa costituiscono il fulcro della produzione garantendo circa il 68 per cento del gas dell'Eni. E in quegli impianti lavorano dozzine di tecnici italiani. Per questo gli impianti di Bir Reeba sono da 48 ore al centro del piano d'emergenza dell'Eni. Un piano che dopo aver provveduto allo spostamento di tecnici ed operai non indispensabili al di fuori dalle aree di rischio punta ora - secondo fonti de Il Giornale - a concordare con le autorità algerine un piano di protezione a prova d'assalto.

Il nuovo allarme rosso mette a rischio anche le attività di prospezione a Kerzaz, l'area del Bacino del Timimoun, 900 chilometri a sud di Algeri, dove l'Eni partecipa con una commessa del 49 per cento alle nuove attività di ricerca avviate dagli algerini della Sonatrach. Ma l'allarme rosso non riguarda solo impianti e maestranze. L'obbiettivo più facile da colpire, ma critico in termini di conseguenze per il nostro paese è la condotta Transmed. Lunga circa 2000 chilometri e meglio conosciuta come gasdotto Mattei questa immensa tubatura rappresenta la vena giugulare del fabbisogno energetico italiano.

Partendo dal campo di Hassi R'Mel, 550 chilometri a sud di Algeri, il gasdotto punta ad est per infilarsi nel deserto tunisino e tuffarsi nel Mediterraneo. La vulnerabilità delle due tratte desertiche scarsamente sorvegliate e difficilmente difendibili è elevatissima. E non solo nel tratto algerino. Come spiegano fonti de Il Giornale coinvolte nella sicurezza di questa condotta strategica la frontiera libica è estremamente permeabile non solo sul versante algerino, ma anche su quello tunisino.

Da lì dunque, come già successo ad An Imenas, potrebbero arrivare i gruppi terroristici intenzionati a punire l'Italia per l'appoggio garantito alla Francia nel Mali.

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