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La Libia ripiomba nel caos: ribelli attaccano il parlamento

Iniziata la resa dei conti tra milizie laiche e islamiste. Attacco sferrato dalle truppe del generale in pensione Khalifa Hiftar, impegnato in una personale battaglia contro i fondamentalisti islamici. Il governo denuncia: "E' un colpo di Stato"

La Libia ripiomba nel caos: ribelli attaccano il parlamento

Blindati e sparatorie a Tripoli, fin dentro la sede del parlamento. Un edificio limitrofo dato alle fiamme, numerose autovetture danneggiate, almeno una ventina di deputati presi in ostaggio, i dipendenti costretti a uscire in tutta fretta cercando di evitare carri armati e pick up pieni di uomini armati.

In Libia i combattimenti si spostano dalla Cirenaica, dove nelle ultime quarantott'ore Bengasi è stata violentemente bombardata dalle truppe del generale in pensione Khalifa Haftar che ha scatenato un'offensiva "contro i terroristi" (80 morti e 140 feriti), alle sedi istituzionali che, da meno di un paio di settimane, hanno un nuovo premier. Ahmed Miitig era stato nominato proprio per porre fine al caos e all'anarchia, ma da molti è considerato troppo vicino ai fondamentalisti islamici. E comunque finora è stato incapace di limitare scorrerie e violenze di una miriade di gruppi fuori controllo ma tutti pesantemente armati.

Non è ancora possibile dire con certezza se il violento attacco al Congresso nazionale generale sia collegato all'offensiva capeggiata da Haftar nell'est della Libia. Ma il presidente dell'organismo, Nouri Abou Sahmein, lo stesso che ieri aveva gridato al tentato colpo di stato per i bombardamenti aerei su Bengasi, ha attribuito il blitz di oggi ad Haftar. Secondo altre fonti, però, dietro all'operazione militare ci sarebbero i potenti miliziani di Zintan dal momento che gli assalitori sono arrivati a bordo dei blindati dalla strada che collega la capitale all'aeroporto e che se ne sono andati percorrendo la stessa arteria verso sud. I miliziani di Zintan sono gli stessi che tengono prigioniero il figlio del defunto Muammar Gheddafi, Saif al-Islam, e che si sono sempre rifiutati di consegnarlo alle autorità di Tripoli.

Dall'inizio della rivolta nel 2011 i miliziani di Zintan si sono sempre opposti con fermezza al fondamentalismo islamico. Già in febbraio avevano inviato un ultimatum al Congresso nazionale generale perché rinunciasse al potere: erano stati definiti golpisti e non avevano ottenuto nulla di ufficiale, ma non avevano dato seguito alla minaccia di attaccare in massa Tripoli. Poco dopo il governo di transizione aveva annunciato un "compromesso", mai spiegato nei dettagli. Le brigate di Zintan hanno mantenuto intatto il loro potere e si sono tenute Saif al-Islam Gheddafi. Tanto che al processo che lo vede imputato a Tripoli insieme ad altri ex fedelissimi del padre (come l'allora capo dei servizi segreti Abdullah al-Senussi) durante le udienze compare in video proprio dalla località del sud libico.

Secondo alcuni osservatori, il possibile collegamento tra le milizie di Zintan e Haftar potrebbe essere proprio la lotta all'integralismo islamico che a Bengasi ha la sua punta di diamante in Ansar al-Sharia, l'organizzazione jihadista inserita dagli Stati Uniti nella lista delle cellule terroristiche con più che probabili collegamenti con la rete di al Qaida.

Proprio la determinazione anti-qaedista potrebbe essere all'origine del sostegno ottenuto da Haftar da frange dell'esercito che nell'est gli hanno messo a disposizione aerei, elicotteri e armi pesanti.

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