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"Non abbiamo fallito, la gente è con noi"

Il generale Giorgio Battisti, comandante di stato maggiore della missione Isaf: "Resteremo anche dopo il 2014"

"Non abbiamo fallito, la gente è con noi"

«Il capitano dei bersaglieri Giuseppe La Rosa ucciso a Farah era un compagno di corso di mio figlio. Capirà quanto pesa per me la sua perdita e quella dei 52 che l'hanno preceduto. Sono giovani eccezionali pronti a sopportare condizioni molto diverse da quelle a cui sono abituati in Italia. Passano sei mesi in capisaldi isolati simili a quelli della prima guerra mondiale nella convinzione di poter fare qualcosa di buono per questa sfortunata nazione afghana. Quando li vedo mi si riempie il cuore».
Il generale Giorgio Battisti, è un padre e un militare. Da padre ha atteso per cinque volte il ritorno del figlio ufficiale dall'Afghanistan. Da Generale di Corpo d'Armata ricopre dallo scorso gennaio il ruolo chiave di comandante dello stato maggiore della missione Isaf coordinando da Kabul il personale di 50 Paesi. «Perdere uno solo di questi giovani - racconta in quest'intervista esclusiva al Giornale - è una tragedia. Perderne 53 è una tragedia enorme. La nostra presenza però è stata proficua. Siamo riusciti a restituire tranquillità e speranza al popolo afghano dopo 34 anni di guerra. Quando mi guardo attorno vedo soprattutto tra i giovani afghani una gran voglia di uscire dal baratro della guerra. Questa voglia di tranquillità e rinascita è il più grande riconoscimento della validità della missione».

Vale la pena sacrificare altre vite per una missione che chiude nel 2014?
«Il capitano Giuseppe La Rosa lavorava con un team di consiglieri che addestra le forze di sicurezza afghane per consentir loro di rilevare alla fine del 2014 le forze del contingente Isaf. La presenza di questi consiglieri continuerà anche dopo il ritiro del 2014».

Quindi dopo il 2014 la missione continua. Non tutti i militari italiani rientrano
«La volontà dell'Italia di rimanere dopo il 2014 è stata confermata alla Nato dal Ministro della Difesa. Non sappiamo quale sarà la tipologia e la consistenza delle nostre forze, ma sappiamo che la loro missione sarà completamente diversa. Quella attuale punta anche a contrastare il terrorismo, la loro sarà di puro addestramento per migliorare l'esercito afghano nel settore dell'intervento aereo, dell'artiglieria, dell'intelligence e nel coordinamento del comando».

Noi ce ne andiamo, ma gli insorti continuano a colpire. Abbiamo fallito?
«Chi parla di fallimento dimentica che le forze afghane sostengono oggi più dell'80 per cento dell'impegno sul terreno e contrastano una missione essenzialmente terroristica condotta da pochi elementi pronti a colpire con l'inganno. Una vera guerriglia è quella che opera in Siria. In Afghanistan i talebani si limitano a mettere a segno attacchi spettacolari dal punto di vista mediatico, ma ininfluenti da un punto di vista militare. Attentati come quelli di Farah non significano che siano forti, ma solo che operano in un Paese molto grande dove basta un ragazzino per mettere a segno un'azione eclatante».

Gli obbiettivi raggiunti non sembrano molti…
«Dal 2001 quando sono venuto qui per la prima volta ad oggi la trasformazione delle forze di sicurezza afghane è stata impressionante. Grazie alla missione Nato sono oggi in grado di compiere missioni su larga scala e difendere il territorio».

In compenso abbiamo abbandonato basi come Bala Murghab, Bakwa il Gulistan costate sangue, vite umane e milioni di euro …
«Non le abbiamo abbandonate, abbiamo semplicemente rispettato il processo di transizione che prevedeva il passaggio nelle mani degli afghani. Oggi grazie all'addestramento ricevuto sono in grado di tenerle meglio di noi perché conoscono il territorio».

La morte del capitano La Rosa segna l'inizio della stagione dei combattimenti. Cosa dobbiamo aspettarci?
«La raccolta dell'oppio è appena terminata. È ancora presto per fare previsioni. A prima vista ci sembra in linea con le altre stagioni dei combattimenti. Gli insorti, formati da terroristi e da criminali comuni, cercano di recuperare la libertà di movimento e spostare i convogli del raccolto verso le frontiere ed incassare denaro.

Stavolta però a differenza degli anni precedenti le forze afghane sono in grado di controllare il territorio e contrastare i loro movimenti».

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