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L'ispettore Callaghan "interroga" Obama

Clint Eastwood conquista la platea di Tampa. Sul palco rivolge a una sedia vuota le domande che l'America vorrebbe fare al presidente. Replica di Barack: "Sedia occupata"

L'ispettore Callaghan "interroga" Obama

Questa di Clint Eastwood che intervista una sedia vuota è una scena che rimane. Piaccia o non piaccia, adesso non conta. È lì, un'immagine che farà parte di questa campagna elettorale per le presidenziali Usa. Eastwood non è l'America, ma è un'America. Esordisce così: «Mi dici di parlare a Romney? Perché non lo fai tu...». La folla della convention repubblicana di Tampa lo accoglie impazzita. È una delle facce del conservatorismo che da qui, dalla Florida, spera di far sloggiare Barack Obama dalla Casa Bianca. Parla a braccio, con la sua voce da vecchio che ne sa, allunga le frasi, trascina le parole: dieci minuti per un monologo che mescola realtà e surrealtà.

La sedia vuota è il fantasma del presidente in carica. Clint parla: «Quando è stato eletto 4 anni fa tutti piangevano di gioia, anch'io mi sono emozionato. Non ho più pianto così da quando ho scoperto che oggi in America ci sono 23 milioni di poveri. Una tragedia vera, e l'amministrazione non ha fatto abbastanza per porvi rimedio. Per questo penso che sia arrivato il tempo per un uomo d'affari, uno stellare businessman». È il primo boato. È l'endorsement per Mitt Romney, che molti aspettavano. Perché Esatwood non ha mai negato di essere repubblicano, non s'è mai arreso alle convenzioni che vogliono le star di Hollywood tutte democratiche, liberal e politicamente corrette. Lui è stato nixoniano, reaganiano, bushiano, poi quest'inverno ha prestato se stesso e la sua storia per lo spot dell'intervallo del Superbowl: la pubblicità più pagata della storia della tv in cui lui sembrava fare un assist a Barack Obama attraverso la Chrysler. La convention di Tampa mette le cose in ordine. L'ispettore Callaghan è tornato: legge, ordine, bandiera nel prato e l'Elefante del Grand Old Party sulla scheda elettorale.

Non insulta, non accusa, non esagera. Eastwood è la miglior arma possibile per il momento di Romney. Lo dice il politologo Larry Sabato: «È il miglior speaker della convention». Credibile e autentico. La prova è nella reazione scomposta che ha tutto il mondo del cinema e dello spettacolo americano che sta dall'altra parte. Da Michael Moore che l'ha definito delirante a Spike Lee che l'ha accusato di avere l'atteggiamento di chi vuol uccidere il presidente. Ma reagisce lo stesso Obama, costretto a ribattere all'intervento dell'attore: «Mi dispiace per lui, ma quella sedia è occupata». Colpisce, Eastwood. Mette in secondo piano persino la voce del candidato che sostiene. Perché parla Romney, sì, ma è come se gli altri ascoltassero soprattutto Clint. Guarda quel vuoto dove gli altri vedono la faccia di Obama e dice: «Penso che sia arrivato il tempo che ti faccia di lato, per far posto a Romney e Ryan». Volta la testa e si rivolge alla platea: «Quando qualcuno fa male il suo lavoro devi cacciarlo». Altra ovazione. Poi punta il dito verso l'Obama invisibile, dicendogli di andare via. E sempre rivolgendosi al presidente immaginario: «Guarda che non mi sto zitto. È il mio turno... Sei completamente pazzo... Di tutte le promesse che hai fatto, cosa ne è rimasto?». È l'apoteosi. Sua e indirettamente di Romney che rimbalza nei sondaggi.

Secondo Rasmussen adesso il candidato repubblicano è davanti di un punto. Significa poco in questo momento della campagna. Significa, però, che la battaglia sarà dura. Obama non è quello di quattro anni fa. Lo sa il suo staff e lo sa lui. Quello che gli rinfaccia Clint Eastwood è quello che si chiede anche l'Economist: «One question, Mr President... just what would you do with another four years». Che cosa farà nei prossimi quattro anni? Il settimanale inglese sostiene che il presidente abbia fatto meglio di quanto le condizioni dell'America suggeriscono, ma è molto scettico per il prossimo ipotetico mandato. Non è uno spot per Romney, questo. Non ancora. Ma non è di certo un assist a Obama. Che forse non s'aspettava la rimonta dell'avversario, così come probabilmente non s'aspettava la prospettiva di una nuova recessione che potrebbe essere addebitata integralmente a lui e alla sua amministrazione. Eastwood è un avvertimento di un'America. Non è tutto il Paese, ma è una parte che conta, perché lui non rappresenta i lustrini di Hollywood. Interpreta altro, personifica tutto un altro mondo. Capisce. Mentre lui finisce di parlare la gente repubblicana comincia a scandire sempre più forte «let him go». Lasciate che vada. Obama a casa, quindi. Romney dentro. Conclude così: «Io ho cominciato il lavoro, ora tocca a voi finirlo».

Il 6 novembre si vota: è lontano, ma ora sembra molto più vicino.

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