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Malala merita il Nobel I talebani furiosi: «Le daremo la caccia»

Basta la reazione dei talebani per capire che, almeno questa volta, il parlamento europeo l'ha fatta giusta: ha assegnato il premio Sakharov per la libertà di pensiero a Malala, la sedicenne pachistana diventata il simbolo della lotta per i diritti delle bambine ad andare a scuola. Malala, che nonostante le minacce (cominciate quando aveva undici anni) dei fondamentalisti, e poi i proiettili alla testa e al collo, e le operazioni chirurgiche per ricostruire il cranio, ha vinto contro i suoi nemici, e ha potuto dire al mondo: «Pensavano di zittirmi con una pallottola, ma non ci sono riusciti». «Un bambino, un insegnante e un libro possono cambiare il mondo» sono parole che, in bocca a lei, non suonano retoriche.
Per i talebani, appunto, Malala «non ha fatto niente» per meritarsi il riconoscimento, attribuito ieri all'unanimità dall'europarlamento perché, come ha spiegato il presidente Schulz, «è una ragazza eroica», che «ha incoraggiato le altre con il suo esempio». Per gli estremisti di Tehreek-e-taliban Pakistan tutto si spiega col solito complotto occidentale, infedele e anti musulmano: «I nemici dell'islam la stanno premiando perché ha abbandonato l'islam e si è secolarizzata». E per questo, perché Malala condurrebbe una «battaglia contro l'islam» (cioè affermare e mettere in pratica il proprio diritto di adolescente ad andare a scuola, a ricevere un'istruzione; e poi, sul suo blog per la Bbc, denunciare abusi e spadroneggiamenti dei talebani nella Valle dello Swat), il portavoce del gruppo ha ribadito le minacce di morte: «Cercheremo ancora di uccidere Malala, magari anche in America o nel Regno Unito».
Insomma se la storia di Malala, il suo coraggio, la sua sofferenza non fossero abbastanza, la rabbia dei suoi nemici, che considerano questa ragazzina senza paura «una spia dell'Occidente» e perciò l'hanno condannata a morte («la sharia dice che persino un bambino può essere soppresso, se fa propaganda contro l'islam» hanno spiegato tranquillamente i miliziani qualche giorno fa) dovrebbe essere solo l'ultimo tassello a convincere oggi i signori di Oslo ad assegnare proprio a lei il Nobel per la pace, quest'anno.
La candidatura di Malala al premio è tra le favorite, ma è già paradossale che sia in «concorrenza» con Snowden, la ex spia che ha fatto scoppiare il caso Datagate (e incrinare le relazioni fra Stati Uniti e Russia) o con Manning, il soldato americano condannato per la fuga di documenti dello scandalo Wikileaks. E ancora più paradossale è che, in questi giorni, alcuni «esperti» abbiano usato l'età di Malala come argomentazione negativa: meriterebbe il Nobel, sì, ma sarebbe troppo giovane per ottenerlo. Troppo impegnativo, dicono. Sedici anni non bastano, anche se hai sfidato i talebani, sei sopravvissuta a un tentativo di assassinio brutale e terrificante, sei diventata un simbolo per trentadue milioni di bambine che, nel mondo, non possono studiare per ingiustizie e soprusi vari. Non basta uno spirito così innato e potente di libertà, da fare infuriare i talebani e spingerli a una vendetta planetaria? Ci vuole la bolla dell'anagrafe? E soprattutto, il Nobel può essere un «peso» per una sedicenne che ha sopportato ben altro? Il premio che in passato è stato dato inutilmente o, peggio, in maniera quantomeno controversa, all'Unione europea, a Barack Obama, perfino a Yasser Arafat, finalmente avrebbe un senso. Finalmente sarebbe da applausi.

Se la burocrazia e l'ottusità non la daranno vinta ai nemici di Malala.

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