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«Marò liberi», fischi al ministro della Difesa

«Marò liberi», fischi al ministro della Difesa

Doveva essere una giornata di festa e celebrazioni. La festa della Brigata Folgore, uno dei più amati reparti delle nostre Forze armate. Le celebrazioni per i 70 anni da quella battaglia di El Alamein in cui i «leoni» della Folgore si coprirono d'onore e gloria. Invece è stata una giornata burrascosa segnata da una tormenta di fischi e cori indignati. La tempesta s'abbatte sullo stadio di Pisa non appena il ministro della Difesa, ed ex capo di stato maggiore, Giampaolo Di Paola inizia il giro d'onore davanti ai reparti schierati. In quell'istante cala dagli spalti la prima bordata di fischi seguita da un crescendo di cori. D'improvviso i veri protagonisti della giornata non sono più i caduti di 70 anni fa, né i paracadutisti d'oggi. D'improvviso i veri padroni della giornata diventano Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due marò bloccati in India da quasi nove mesi, con l'accusa, mai provata, d'aver ucciso due pescatori durante un'operazione anti pirateria. In quei fischi, in quel «liberi liberi», in quei «riportateli a casa» riecheggia la rabbia di migliaia di ex militari, l'indignazione di chi rimprovera a tutto il governo, Di Paola compreso, d'aver accettato ricatti e diktat indiani. In quello stadio ribolle la collera di chi vorrebbe approfittare della giornata per ricordare anche i due fucilieri del Reggimento San Marco. «Io ed una quarantina di ex delle Forze Speciali avevamo chiesto di far sventolare accanto alle bandiere ufficiali anche una con un fiocco giallo per ricordare la forzata assenza dei due marò, ma i vertici della Brigata Folgore ci hanno detto di no perché non previsto dal protocollo» spiega a il Giornale Sandro Macchia, un 51enne ex sottufficiale del 9° reggimento Col Moschin diventato uno degli animatori del movimento che non perde occasione per ricordare la vicenda di Latorre e Girone.
L'ex incursore, conosciuto anche per aver fatto parte della scorta di Silvio Berlusconi, trascorre poi qualche ora in compagnia dei poliziotti che lo fermano non appena tenta di estrarre il tricolore con il fiocco giallo da sventolare davanti al ministro della Difesa. Il suo fermo non argina comunque il clamore di una protesta che coinvolge non solo un ministro con un passato militare d'eccellenza, ma anche i vertici della Brigata Paracadutisti. Alla fine lo stesso Di Paola si vede costretto a dedicare una parte del suo discorso all'inattesa contestazione. «Nonostante la libertà d'espressione – sottolinea - questo non è il momento delle polemiche, ma della fiducia negli organismi internazionali e nella giustezza della nostra richiesta di giudicarli in Italia». Le parole non generano l'effetto desiderato. Subito dopo averle pronunciate Di Paola si ritrova nuovamente fischiato, nuovamente soverchiato dai cori di «Marò liberi» e «Riportateli a casa».
Mentre in Italia la polemica investe il ministro della Difesa l'India rivede, invece, il proprio atteggiamento nei confronti della Ferrari accusata di politicizzare una competizione sportiva dopo la decisione di correre il Gran Premio d'India di quest'oggi con le insegne della Marina militare italiana. A disinnescare le accuse e il rischio di una ritorsione ci pensa il presidente della federazione sportiva automobilistica indiana Vicky Chandhok ricordando che l'esibizione del simbolo della Marina non «costituisce una violazione del nostro regolamento». Chandhok disinnesca così anche la presa di posizione di Bernie Ecclestone. Venerdì il «patron» della Formula uno aveva criticato la Ferrari delegando alla federazione di Nuova Delhi qualsiasi possibile rappresaglia. Dopo la svolta indiana anche lui smorza i toni. «È una bella bandiera... - rettifica - non penso ci sia nulla di male a esporre dei simboli nazionali, non hanno nessuna valenza politica». Ora la speranza è che quei simboli accompagnino una vittoria del Cavallino. Per l'Italia sarebbe un segnale di rinnovato prestigio dopo mesi di umiliazioni.

E per i familiari dei due fucilieri di marina, partiti alla volta dell'India per far visita ai loro cari, l'auspicio di una vittoria non soltanto sportiva, ma anche giuridico-diplomatica.

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