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Un mondo che non ammette la sofferenza

Per la prima volta un Paese la legalizza senza fissare un limite minimo di età. Ma, finito il moto di disgusto, sorgono altre domande

Un mondo che non ammette la sofferenza

Chiamarla decisione choc è riduttivo: la scelta del parlamento belga di legalizzare l'eutanasia per i minori di diciotto anni è uno di quegli atti che genera la paralisi del giudizio.

Cos'è, legalizzazione dell'infanticidio o diritto anche di un minore a finire il prima possibile una vita di sofferenze? Un ulteriore sdrucciolamento verso la barbarie o un gesto di civiltà? L'azzeramento del senso umano o la sua tutela?

Sia quel che sia, il Belgio è la seconda nazione ad adottare un provvedimento così, la prima a non fissare un limite di età. Scatenerà polemiche e un dibattito mondiale. Solo in una democrazia nordica, un paese in cui il sentimento religioso aggrega minoranze e il potere ecclesiale non è centrale, sarebbe potuta accadere una cosa del genere: in effetti, si mette nelle mani di un minorenne malato terminale, purché dotato di una propria volontà manifesta, il potere di decidere autonomamente sulla propria vita, o sulla propria morte.

Francamente, la prima sensazione che sale da una valutazione emotiva di questo atto legislativo è di orrore: immaginare ospedali dove - perché di questo si tratta - si accompagnano alla «dolce morte» bambini o adolescenti, lascia pensare più che altro al set di un film di fantascienza apocalittica e non a una nazione civile e occidentale. Ma, finito il moto di disgusto, sorgono altre domande (proprio quando in Italia va in onda una bella serie televisiva come «Braccialetti rossi», dedicata a ragazzini che convivono con malattie terribili): esiste in un individuo, anche in chi non ha raggiunto la maggiore età, il diritto di porre fine alla propria sofferenza e a una vita che, in fondo, non è vita? Può uno Stato impedire alla persona di non avere piena sovranità sul proprio corpo e la propria esistenza? Uno Stato può tollerare la legalizzazione del suicidio a ogni età?

Ritorniamo sempre allo stesso punto, in cui il dibattito condotto per vie razionali si arresta e si entra nel campo accidentato e conflittuale dei giudizi morali. Allora il commentatore potrebbe ritrarsi ed evitare l'azzardo di un'opinione netta sul tema, ma il legislatore no, non può farlo: deve decidere. E i parlamentari belgi certamente hanno avuto le idee chiare: l'eutanasia per i minori, si può fare. Tutto questo certamente rinvia a una concezione materialista e funzionale della nostra esistenza, svuota la vita umana di ogni significato ultraterreno e il nostro corpo di qualsiasi valenza spirituale, e conferma quella tendenza - ormai tipica nelle democrazie del Nord Europa - a codificare e ospedalizzare l'estrema unzione.

Nella nostra nazione, una delle poche oramai dotate di una legislazione che considera l'eutanasia fuorilegge, la normativa belga appare il salto in un buco nero sconosciuto, dove convivono passioni contrastanti: la paura della morte assistita contro la paura di una vita nell'unico segno del dolore. E la follia tutta contemporanea della lotta per una vita sempre più lunga.

A patto, però, che la sofferenza venga sradicata dagli orizzonti possibili della nostra esistenza.

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