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Napolitano dà la linea e Renzi esegue: toni soft, come Berlino

Italia e Germania rompono il fronte anti-Putin nella Ue. Per interessi economici e perché agli Usa manca una strategia

Napolitano dà la linea e Renzi esegue: toni soft, come Berlino

Vladimir Putin vivrà anche in un altro mondo come spiegava Angela Merkel ad Obama, ma in quel «mondo a parte» il presidente russo ha ben presente non solo cosa fare, ma anche come e quando farlo. L'ultimatum militare prima ventilato e poi smentito all'Ucraina è stata la prima risposta alla decisione di boicottare il G8 di Sochi, ed eventualmente espellere la Russia dal consesso, formulata dal segretario di Stato americano John Kerry. Il risiko dello Zar - pronto a stringere il cappio al collo di Kiev mentre Europa e Stati Uniti tergiversano - è tutto giocato sul ventre molle della Germania. E un po'anche dell'Italia. Ieri i due Paesi hanno di fatto rotto l'unanimità all'interno del vertice Ue sull'Ucraina di Bruxelles precisando di esser pronti a boicottare solo la fase preparatoria del G8, ma di non voler, per ora, escludere la propria partecipazione agli incontri.

Una posizione assunta sotto l'egida di un presidente Napolitano che l'ha definita «molto attenta a tutti gli aspetti e ai rischi della situazione». Un presidente che ancora una volta ha dettato la linea a Matteo Renzi indirizzandolo su una strada divergente da quella di Washington e di altri Paesi europei decisi a puntare sull'annullamento degli incontri di giugno a Sochi e sulla minaccia di espulsione della Russia dal G8.
I rapporti con Mosca sono del resto uno dei pochi elementi che accomunano Berlino e Roma sul piano economico. Se in Germania la quota di gas russo è di ben il 32 per cento rispetto al totale dei consumi, in Italia è solo due punti inferiore. Se il Paese della Merkel prospera grazie agli 80 miliardi di euro d'interscambio commerciale con la Russia, il nostro Paese non può rinunciare ai 6 miliardi e passa di esportazioni che ne fanno il sesto partener commerciale di Mosca. Mentre lo Zar può alzare la posta in totale autonomia, Washington e Bruxelles devono, dunque, fare i conti con l'incognita della Germania e di Paesi come l'Italia. Ma è anche un'incognita obbligata perché senza la Germania sarebbe assai difficile impostare un eventuale negoziato. E, alla bisogna, il ministro degli Esteri socialdemocratico di Berlino Frank-Walter Steinmeier, da sempre amico di Mosca, sarebbe l'uomo giusto per farlo decollare.

Putin punta anche su altre evidenti debolezze occidentali. La prima, evidentissima, è quella di non aver nulla in mano oltre al boicottaggio del G8. L'ipotesi di eventuali sanzioni economiche, o di altre misure approvate dall'Onu, era già impercorribile visto il diritto di veto di Mosca in seno al Consiglio di Sicurezza. È ancor più impercorribile da quando la Cina, titolare di un secondo veto, ha fatto sapere di non aver nulla da eccepire sulla posizione russa. Dunque a meno di non ipotizzare scenari da terza guerra mondiale, Washington e Bruxelles non hanno vie d'uscita.

Mentre Mosca stringe la sua garrota al collo dell'Ucraina, gli alleati occidentali di Kiev possono solo attendere giugno per far provare a Putin l'umiliante sensazione di ritrovarsi solo nelle sale del vertice di Sochi. Con il rischio però che da qui a giugno siano gli stessi ucraini a mettere da parte gli esponenti più oltranzisti del nuovo governo per chiedere quella trattativa con il deposto presidente Yanukovich considerata dal Cremlino l'unica via per metter fine all'assedio. In questo scenario potrebbe rientrare il ventilato incontro tra Putin e l'ex premier ucraino Yulia Tymoshenko volata a Mosca per incontrare il presidente. Pur avendo perso molto del suo seguito popolare, la Tymoshenko è considerata l'unica in grado d'intavolare rapporti pragmatici con Mosca.

E potrebbe diventare la chiave di volta per una soluzione concordata della crisi.

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