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Obama in picchiata. Il "re" ha perso il suo tocco magico

Dopo i disastri in politica estera popolarità al 41%, il minimo storico. E ora rischia di perdere il Senato

Obama in picchiata. Il "re" ha perso il suo tocco magico

Il presidente rischia di trascinare in basso il suo partito, i suoi numeri rendono più ardua l'avventura elettorale dei democratici all'appuntamento di metà mandato. C'è un nuovo sondaggio che registra inesorabilmente l'assottigliarsi della popolarità di Barack Obama, scesa di cinque punti: dal 46% dei primi tre mesi dell'anno al 41%. Secondo le cifre di Washington Post e Abc i democratici, che non controllano la Camera, rischiano a novembre di perdere anche il Senato. Come spiega il quotidiano, nonostante il sondaggio racconti come gli americani si fidino più dei democratici al governo che dei repubblicani, quando i numeri del presidente sono bassi ne risentono i candidati del suo partito.

La lenta ripresa economica e la disoccupazione in calo non hanno ancora avuto un effetto sulle cifre dell'Amministrazione se soltanto il 42% degli americani approva le politiche economiche del presidente. La storica ma controversa riforma della sanità voluta da Obama continua a non convincere: piace soltanto al 37% della popolazione. Tra il dibattito su assicurazioni mediche, salario minimo, indennità per chi è senza lavoro, nelle «pagelle» sul presidente fa irruzione la politica estera, e nello specifico quella crisi tra Russia e Ucraina, tra Mosca e comunità internazionale, che sa tanto di revival di Guerra Fredda. In pochi negli Stati Uniti sono soddisfatti di come la leadership ha gestito finora la crisi con il nemico d'altri tempi, da anni confinato alle trame per pellicole cinematografiche. Soltanto un americano su tre, il 34% della popolazione, approva le mosse del presidente per arginare le tensioni in Ucraina.

I nuovi numeri arrivano in un momento difficile per la politica estera del presidente. Obama ha chiuso ieri un viaggio di una settimana in Asia per tranquillizzare alleati che si sentono minacciati dalla potenza cinese. Il presidente non è però riuscito a portare a casa il pieno appoggio del Giappone su un'intesa cui Washington punta da tempo - la Trans-Pacific Partnership - e i suoi sforzi di concentrazione sull'Asia sono stati dirottati altrove durante l'intero tour. L'annuncio di un governo di unità nazionale tra i palestinesi di Hamas e Fatah ha messo in crisi nove mesi di lavoro del segretario di Stato John Kerry in Medio Oriente e i già fragili colloqui tra israeliani e palestinesi. La speranza sollevata dall'intesa raggiunta tra la Russia e la comunità internazionale a Ginevra è evaporata in pochi giorni di tensioni tra Kiev e il Cremlino, seppellita dalle nuove sanzioni imposte lunedì a Mosca.

Un presidente sotto attacco, criticato dall'opposizione repubblicana e non soltanto per la sua gestione delle crisi internazionali, lunedì ha improvvisato da Manila un'appassionata difesa della sua politica estera, snocciolata con candore. Obama ha criticato chi lo ha incitato a usare la forza per risolvere le crisi siriana e ucraina, chi vede in mancati interventi militari l'erosione del potere americano. Ha spiegato di preferire il lavoro diplomatico su «interessi comuni» con altri Paesi, che «non è sempre sexy» e «non passa bene sui talk show della domenica mattina». «Perché sono tutti così desiderosi di usare la forza militare dopo dieci anni di guerra a costi enormi per le nostre truppe e il nostro budget?», ha chiesto, frustrato, non aspettandosi una risposta.


Per il New York Times, lo sfogo di Manila è stato una rara finestra per comprendere «un presidente al secondo mandato che sta già misurando quale sarà la sua eredità come statista».

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