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Pure il kalashnikov è scarico «Putin, difendilo dai cloni»

Gli acquisti al livello più basso degli ultimi anni. Colpa delle fabbriche illegali in Cina, Africa e Medio Oriente. E l'inventore scrive al presidente

In principio era l'arma del popolo, il fucile sotto il braccio delle truppe sovietiche nei quartieri di Varsavia sino agli avamposti in Asia centrale. Poi è diventata l'arma dei poveri, quella usata nelle guerre d'Africa e nei conflitti del Medio Oriente. Ma oggi il marchio Kalashnikov, un pezzo di storia dell'industria russa, rischia di scomparire per colpa della tecnologia e delle copie contraffatte. Nei giorni scorsi gli operai delle officine meccaniche Izmash, quelle in cui si assemblea il fucile da quasi settant'anni, hanno scritto una lettera al capo del Cremlino, Vladimir Putin, chiedendo di salvare i loro posti di lavoro. Gli ordini hanno toccato il livello più basso degli ultimi anni, gli stipendi scendono rapidamente e molti tecnici hanno già trovato lavori migliori. «La situazione è catastrofica - dice il messaggio - È una vergogna vedere la fine di una società che ha dato lavoro a più di una generazione». Sulla lettera spedita a Putin ci sarebbe anche la firma di Mikhail Kalashnikov, il padre del fucile, che ha compiuto 93 anni due settimane fa.
Il problema delle officine Izmash riguarda da vicino le forze armate russe e il loro sviluppo. Nel 2007 il ministero della Difesa è stato affidato per la prima volta a un civile, Anatoly Serdyukov, che aveva il compito di trasformare l'esercito in un organismo moderno, più leggero e meglio armato. La riforma ha spinto il governo verso nuovi fornitori e gli operai di Izhevsk, una cittadina nel cuore degli Urali conosciuta un tempo come «l'armeria della Russia», sono rimasti a corto di lavoro: quest'anno il 70 per cento delle vendite non è finito nei depositi dell'esercito russo ma sul mercato delle armi sportive, soprattutto quello americano. L'altro grosso guaio è la contraffazione. Il disegno del primo Ak47 risale agli anni Quaranta e da allora non c'è stata guerra senza un fucile russo che sventolasse per aria. La Banca Mondiale dice che esistono almeno 100 milioni di kalashnikov al mondo, ma soltanto cinque milioni sono stati prodotti nei paesi che facevano parte dell'Unione sovietica: le fabbriche illegali si trovano ovunque, sono in Cina, in Africa, nei paesi del Medio Oriente, durante le guerre in Congo e in Rwanda l'offerta di Ak è stata così alta da far crollare il prezzo sino a trenta dollari, in Mozambico il fucile era talmente popolare che lo hanno messo persino sulla bandiera, con tanto di baionetta. Al bordo fra il Pakistan e l'Afghanistan c'è un villaggio, il nome è Darra Adam Khel, in cui centinaia di pashtun vivono grazie alla «Copia del Khyber», una riproduzione che si vende a poco prezzo da una parte all'altra del confine. Il problema è diventato così grosso che Mikhail Kalashnikov in persona si è rivolto alle Nazioni Unite nel 2006 e ha chiesto di fermare il mercato delle armi illegali: quelle prodotte nelle mie officine vanno agli eserciti e servono per la difesa, disse allora, le altre finiscono nelle mani dei terroristi.
Putin non è rimasto indifferente all'appello degli operai russi. All'inizio del mese il ministro Serdyukov è saltato per uno scandalo di donne e corruzione, e negli stessi giorni il governo ha approvato un piano per salvare le officine Izmash. È possibile che gli stabilimenti di Mikhail Kalashnikov siano fusi con una fabbrica vicina che produce armi sportive, ha annunciato il vicepremier Dmitri Rogozin.

In questo modo i due marchi potrebbero collaborare a nuovi modelli e combattere meglio, è proprio il caso di dirlo, anche la concorrenza sleale.

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