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Ma quali castronerie: i media hanno dato risposte sulle elezioni Usa

Dalla Fed al debito non è vero che i problemi non sono stati affrontati. E criticare ponendo delle domande senza dare delle risposte è un gioco furbo

Già, quante castronerie. Lo stesso pressapochismo dei media e la stessa demagogia dei media c’è in chi critica gli stessi media. I giornali italiani hanno raccontato la rielezione di Barack Obama con alti e bassi. Ma non sembra che abbiano fatto peggio dei media del resto del mondo. Non si sono letti fior di esperti di testate inglesi, francesi, tedesche o svizzere che abbiano spiegato come funziona davvero il mondo ai creduloni – e retorici – analisti e inviati italiani che hanno scritto delle elezioni del 6 novembre.

Criticare ponendo delle domande senza dare delle risposte è un gioco furbo.

Le code ai seggi, per esempio. Verissimo che ogni contea decide il numero di cabine elettorali. Ma come si fa a dire che il 62 per cento dell’affluenza non sia un dato inatteso? Smentire questo è mentire. I sondaggi sulle intenzioni di recarsi alle urne, a due settimane dal voto, dicevano che l’affluenza non avrebbe superato il 54 per cento. Otto punti percentuali sono moltissimi e un’affluenza del 62 per cento in un Paese come l’America è considerata molto alta. Le code, inoltre, sono continuate – per esempio in Florida – anche quando i network avevano assegnato la vittoria a Obama. Testimonianza, questa, che almeno lì chi è andato a votare, al netto dei disservizi e dei disguidi, era fortemente motivato. Retorica? Forse. Però anche una banale realtà.

La vera, grande, immensa, retorica invece è il ritornello complottistico su chi finanzia chi: lobby, centri di potere, grande industria, grande finanza. Lo sappiamo: in America funziona così da sempre. Anzi a dirla tutta, questa è stata la campagna più trasparente di tutte, ben di più di quella del 2008. Ormai lo sanno tutti, ma per chi non lo sapesse, in America ogni centesimo donato viene registrato e divulgato. Basta controllare il sito ufficiale del Federal election committee (www.fec.gov) per sapere che Romney, per esempio, è stato supportato dalla grande finanza.

Mi sembra curioso addebitare ai media italiani il fatto che non si sia parlato della Fed e del debito pubblico americano. A parte che non è vero (Romney ne ha ovviamente parlato tantissimo, annunciando per esempio, che se fosse stato eletto il primo provvedimento sarebbe stato cacciare Ben Bernanke).

Per anni i veri – o presunti – esperti di strategie di “spin” ci hanno raccontato di come fossero abili i candidati e i loro staff ad aggirare le domande scomode. Bisognerebbe, a questo punto, chiedere a questi esperti di spiegarci come gli uomini di Obama e Romney hanno gestito la cosa.

Non credo, inoltre, che in alcun paese si vada a votare sapendo per filo e per segno il programma di un candidato. Questo è un male, ovviamente. Ma è così, punto. Qualcuno in Italia sa il programma di Beppe Grillo? O del Pd? O del Pdl? Il dramma è che a ogni latitudine il voto è più una questione di appartenenza e di “fede” che una scelta ponderata.

Molto molto molto curioso, oltre che incredibilmente demagogico, dire che i giornali del giorno 7 erano parole in libertà. Il fuso orario per cui i giornali europei non avranno mai – dico mai – i risultati di una cosa che accade nella notte americana, non è certo colpa dei giornali. Otto-dieci pagine sono troppe? Forse. Anzi diciamo sicuramente. Ne avessero fatte meno, però, la critica sarebbe stata: non si occupano dell’evento politico più importante dell’anno dando più spazio alle regionali siciliane che alle presidenziali Usa.

La verità è che criticare a prescindere è facile. E, come detto, invece di criticare facendo delle domande, bisognerebbe dare delle risposte.

Solo che non se ne vedono molte in giro.

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