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Regalo di Obama a Israele: pace fatta con la Turchia

Prima di ripartire il presidente Usa organizza un telefonata tra Netanyahu ed Erdogan: ristabilite le relazioni diplomatiche

Regalo di Obama a Israele: pace fatta con la Turchia

Gerusalemme - Shalom Obama, Israele col naso per aria resta da solo, minuscolo in mezzo a un mondo islamico in agitazione. È stato bello per il popolo ebraico scoprire un amico caloroso dopo quattro anni di frizioni e disaccordo, consolante guardare le pacche sulle spalle di Bibi e Barack senza giacca sulla pista dell'aeroporto, è stato indispensabile discutere con gli Usa una nuova strategia dopo il lungo periodo di stupefazione seguito alle primavere arabe.

Quando l'Air Force One si è alzato intorno alle 15 diretto da re Abdullah di Giordania, si è disegnato nel cielo troppo caldo un ricamo nuovo, un Medio Oriente diverso da quello di tre giorni fa.

Il segnale è stato un evento esplosivo dell'ultima ora: «Pronto - ha detto Obama parlando con l'ufficio del primo ministro turco Tayyip Erdogan dall'Hotel King David di Gerusalemme - ho qui un amico per te». E gli ha passato quello che in realtà è da anni per Erdogan il nemico di elezione numero uno, e da ancor prima del 31 maggio 2010, quando per fermare la Flottilla diretta a Gaza l'esercito israeliano uccise nove turchi. Chi erano, perché accadde... certo non erano pacifisti come la narrativa turca tramanda, ma non è più importante. Importante che sotto l'ala di Obama, Netanyahu si scusa dell'accaduto, dice che ogni atto che sia stata causa della perdita di vite umane gli dispiace alquanto, promette ricompense economiche alle famiglie, si impegna a gesti amichevoli verso i palestinesi, compresa la facilitazione dei movimenti dal West Bank e perfino da Gaza. È una telefonata storica, che finisce con la promessa di ripristinare gli ambasciatori sospesi ad Ankara e a Gerusalemme.

Perché Obama ha voluto tanto riaprire la strada dell'antica, fruttuosa alleanza di Israele con la Turchia? La risposta è già scritta nella scelta di fare di Israele la sua prima tappa del secondo mandato, come aveva fatto del Cairo alla prima elezione. Siamo allora alla vigilia delle primavere arabe, Obama spera ancora che la sua politica della mano tesa e dell'affossamento dei vecchi tiranni prepari stabilità e pace per tutto il mondo. Ma sbaglia. La presa del potere della Fratellanza Musulmana ovunque, e soprattutto in Egitto, non ha creato democrazia interna né apertura verso l'Occidente. Le religioni e le civiltà confliggono. Cresce il pericolo di esplosione mondiale con la scelta iraniana di proseguire nella costruzione dell'atomica; la Siria è una santabarbara dove un tiranno impazzito e forze incontrollabili legate alla parte sunnita più pericolosa fino ad Al Qaida, giocano a pallone con armi chimiche micidiali. Gli hezbollah sono giannizzeri impazziti di questa guerra, Hamas segnala la sua presenza solo con missili e minacce a Israele, mentre Abu Mazen, paralizzato dalle minacce interne e dall'educazione all'odio del suo popolo, non viene a quella trattativa di cui Obama si era fatto paladino spingerdosi molto verso le ragioni palestinesi. Obama adesso ha bisogno di compensare i suoi errori, creando una nuova alleanza anti estremista, anti iraniana nel Medio Oriente. Dunque, ha visitato i palestinesi e gli ha riproposto la trattativa, ma stavolta senza precondizioni. A Netanyahu dimostra il suo ripensamento sottolineando il diritto storico del popolo ebraico alla sua terra. Spinge il processo di pace, ma soprattutto gli interessa costruire un fronte moderato davvero amico degli Usa, che fronteggi il pericolo siriano e degli hezbollah pronti eventualmente alla sfida iraniana. Per completare il suo compito Obama dunque ieri è andato in Giordania, dove 350mila profughi dalla Siria minacciano, insieme alla crisi economica e alla forte presenza estremista, il re Abdullah che aspetta a braccia aperte l'amico americano. Ha bisogno di Obama, come hanno bisogno di lui tutte le forze moderate del Medio Oriente in un momento decisivo. E Obama ha bisogno di loro. Per questo cambia la strategia degli Usa. Il segretario di Stato John Kerry tornerà in Israele dopo la visita in Giordania.

C'è molto lavoro da queste parti.

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