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La Russia condanna le Pussy Riot E il mondo condanna la Russia

La Russia condanna le Pussy Riot E il mondo condanna la Russia

Due anni di carcere è la pena decisa dal Tribunale di Mosca per le Pussy Riot, il gruppo punk al centro di uno scandalo per aver cantato un inno anti-Putin nella cattedrale del Salvatore, la chiesa ortodossa più importante della città. Il verdetto è arrivato ieri pomeriggio, al termine di un'udienza fiume: Nadia Tolokonnikova, Ekaterina Samutsevich e Maria Alyokhina, tutte sotto i trenta, hanno assistito alla lettura della sentenza nel gabbiotto della polizia, con le mani legate dietro la schiena, guardate a vista da agenti in divisa e due cani poliziotto. Per il giudice Marina Sirova sono colpevoli di vandalismo, con l'aggravante dell'odio religioso. A febbraio, nel bel mezzo della campagna elettorale per le presidenziali, sono entrate nella chiesa con i loro passamontagna colorati e hanno intonato una canzone contro il capo del Cremlino, Vladimir Putin. La performance è durata meno di un minuto, un agente della sicurezza le ha fermate in pochi secondi, ma il video con la loro impresa ha fatto presto il giro del mondo. La reazione della chiesa ortodossa è stata dura: pare che il patriarca Cirillo in persona sia intervenuto per chiedere alle autorità una pena severa. Le tre Pussy Riot sono dietro le sbarre da marzo, rischiavano una pena di sette anni, ma la procura aveva fermato a tre le proprie richieste. La sentenza ha sollevato critiche e polemiche negli ambienti dell'opposizione russa e in Europa. Almeno venti persone sono finite in arresto durante le proteste avvenute ieri di fronte al tribunale di Mosca: fra loro c'è anche Gary Kasparov, il campione di scacchi che si dedica oggi alla politica, trascinato a forza su una camionetta della polizia da una decina di agenti. La causa delle Pussy Riot ha attirato le simpatie di molte star straniere, che nelle ultime settimane hanno fatto arrivare al gruppo messaggi e segni di solidarietà: da Bono a Yoko Ono passando da Madonna, in molti si sono schierati al fianco delle tre ragazze punk, sfidando la pazienza del Cremlino. Proprio Madonna è stata al centro di uno scontro duro con Dmitri Rogozin, vicepremier conservatore del governo: «Con l'età, ogni ex p... tende a tenere lezioni sulla morale», ha scritto il politico sul proprio profilo Twitter, con buona pace per il galateo. La sentenza ha risvegliato anche Femen, il gruppo di attiviste ucraine che dedica da tempo pose ardite a vicende politiche spinose. In passato si sono spogliate in pubblico per protestare contro lo sfruttamento della prostituzione nell'Europa dell'est, per denunciare il dittatore bielorusso, Alexandr Lukashenko, e per chiedere la libertà di Yulia Timoshenko, la leader dell'opposizione ucraina in cella per corruzione. Ieri si sono messe in topless per le Pussy Riot e hanno tagliato un grosso crocifisso nel centro di Kiev con una motosega. «È un grande segno di solidarietà», ha detto con sarcasmo Russia Television, il network internazionale vicino al Cremlino. Fra le aggravanti elencate dal giudice Sirova c'è anche quella di propaganda omosessuale, che è considerata una reato. Secondo Sirova, con le loro azioni le Pussy Riot hanno offeso la sensibilità religiosa dei credenti russi e possono ripetere il reato. La scorsa settimana, Putin ha detto di sperare in una condanna «non troppo severa», e non è chiaro se la Corte si sia fatta influenzare dalle sue parole. Le tre affronteranno condizioni dure in carcere: nelle campagne russe ci sono oltre 40 colonie che ospitano quasi 60mila donne divise in baracche. Le condizioni sono critiche, il sistema carcerario assicura un'occupazione soltanto a metà di loro e la paga, secondo l'Ong «Prigione e libertà», non supera i 500 rubli al mese (circa 15 euro).
Subito dopo la condanna la Chiesa russa ha chiesto il perdono per le Pussy Riot. «Chiediamo alle autorità dello Stato di dar prova di clemenza» ha fatto sapere l'Alto consiglio ortodosso attraverso un comunicato.
Mentre la prima reazione degli Usa e dell'Ue al verdetto è stata di condanna.

La sentenza è stata definita «sproporzionata rispetto a quanto commesso».

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