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Sharm, tremano 600 italiani: "Vogliono farci vendere casa"

Cresce la preoccupazione dei proprietari stranieri dopo il decreto sull'esproprio in favore dei beduini. I costruttori: "Promesse tutele a chi ha comprato prima del 2005"

Sharm, tremano 600 italiani: "Vogliono farci vendere casa"

«Erano preoccupati da mesi...quella legge allarmava molti proprietari italiani, l'articolo ha rotto il ghiaccio, adesso dobbiamo convincere gli egiziani a fare chiarezza». La telefonata di Ernesto Preatoni, il costruttore italiano considerato uno degli inventori di Sharm El Sheik, arriva dopo la pubblicazione sul Giornale del pezzo «Così il governo vuole espropriare Sharm El Sheik». L'articolo, riprendendo quanto pubblicato dal Sunday Telegraph, segnala come un decreto - approvato a settembre dal governo egiziano dei Fratelli Musulmani - imponga ai proprietari con doppia nazionalità di vendere entro sei mesi gli immobili posseduti a Sharm El Sheik e nel Sinai a cittadini «nati da genitori egiziani». Letto così il decreto rappresenta una spada di Damocle sospesa sulle teste dei 600 italiani proprietari di appartamenti o villette nella località turistica del Sinai. Anche perché gli abitanti locali, quei beduini rimasti esclusi dallo sviluppo della zona, intravedono nella legge la possibilità di un riscatto.

E sognano un imminente esproprio degli stranieri venuti a godersi il sole e il mare del Sinai. Da settembre infatti, come rivela il Sunday Telegraph, molti proprietari non egiziani presenti a Sharm El Sheik ricevono richieste più o meno pressanti di vendere. Il compito non facile di far chiarezza e difendere le proprietà dei nostri 600 connazionali tocca ad Antonio Badini, un ex ambasciatore italiano in Egitto diventato - conclusa la carriera diplomatica - il presidente della Sicot, la società del gruppo Preatoni che gestisce proprietà e alberghi di Sharm El Sheik. «Un po' di paura c'era perché queste cose - spiega Badini al Giornale - rischiano con il tempo di essere codificate sui muri della piazza e anche perché, nella situazione istituzionalmente non ben definita di oggi, i beduini alzano la testa per avere un riconoscimento. È naturale che chi è stato costretto in una catapecchia viva queste occasioni con un po' di bramosia. Ma c'era anche l'allarme di chi incominciava a sentirsi dire: non ti registro il contratto». In questa situazione di confusione e timore, l'ex ambasciatore cerca un incontro con il generale Shawky Rashan, responsabile dell'Autorità Nazionale per lo Sviluppo della Penisopla del Sinai.

«Mi sono presentato da lui assieme al rappresentante diplomatico dell'Unione Europea perché la questione ha già suscitato vari interventi diplomatici. Dalla riunione è emerso che, in linea di principio, dovrebbe valere il diritto di vendere per chi ha acquistato prima del 2005. Chi ha comprato dopo il 2005, ma gli italiani rientrano quasi tutti nella prima categoria, ha invece il diritto di usufrutto per 99 anni. Il decreto di settembre rappresentava l'attuazione d'una serie di leggi approvate fin dal 2005, ma ora il concetto di non retroattività della legge è stato chiarito e questo, in linea di principio, dovrebbe essere fondamentale».
I principi nel clima d'instabilità politica e istituzionale che grava sull'Egitto rischiano però di valere poco. Badini, appena rientrato dal Cairo, sottolinea che per difendere le proprietà degli italiani sarà essenziale anche un riconoscimento formale e burocratico pretendendo «la remissione degli atti» e «un decreto in cui si renda chiaro che non c'è retroattività».

«Il ministro del Turismo con cui ho appena avuto un colloquio mi assicura - racconta al Giornale - di voler tutelare chi ha comprato prima del 2005 e di voler garantire ogni certezza ai nostri proprietari. Il generale Shawki Rashan mi ha garantito di esser pronto a venire in Italia per dare garanzie, ma ora bisogna vedere come rispondono le istituzioni e la burocrazia». E da questo punto di vista il processo sembra essere piuttosto travagliato. L'odissea burocratica di chi vuol veder riconosciuti i propri diritti di proprietà a Sharm El Sheik partirà dal Ministero della Giustizia del Cairo per poi passare al vaglio del Governatorato del Sud del Sinai e del Comitato per il Turismo.

Una trafila che - vista la caotica situazione di ministeri e amministrazioni dell'Egitto post Mubarak - rischia di non arrivare mai a una conclusione.

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