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La sinistra radicale: "La Grecia ce la farà anche senza euro"

Vasilis Primikiris, uno dei leader di Syriza, che domani potrebbe vincere le elezioni: "Vedrete, l’Europa non ci mollerà"

La sinistra radicale: "La Grecia ce la farà  anche senza euro"

Vasillis Primikiris è membro del Comitato centrale della segreteria di Syriza, il partito greco della sinistra radicale da cui, col voto di domenica, potrebbero dipendere le sorti economiche dei Paesi dell’Ue.

L’Europa è con il fiato sospeso, se domenica Syriza vince cosa dobbiamo aspettarci?

«Gli ultimi sondaggi ci danno al 30 per cento e se consideriamo gli altri partiti della sinistra - partito comunista ellenico e la sinistra democratica - siamo intorno al 40. La prima cosa che vorrei fare appena Syriza vince è invitare tutti quelli che ci hanno votato a festeggiare davanti al Parlamento. Sul piano politico invece voglio spingere per la nazionalizzazione delle banche».

Continuate a ripetere che volete ritrattare i termini del Memorandum? Cosa succede invece se l’Ue sospende gli aiuti?

«Prima di tutto non prenderemo una decisione unilaterale. Vogliamo trattare con l’Europa. Syriza procederà attraverso il Parlamento per far approvare alcune leggi atte a ridefinire il Memorandum, quel patto con cui i creditori internazionali hanno concesso aiuti alla Grecia. È stato firmato dal governo Papandreou che non rappresenta più il popolo greco, è legittimo dunque che siano proposti e votati emendamenti dal nuovo governo. Resto comunque fermo nell’idea che se il Memorandum sarà annullato la Ue non taglierà le linee di credito. Non gli conviene: se saltiamo noi, salta l’euro e l’Europa».

Non vi sembra un ricatto?

«No perché le due tranche di aiuti ricevuti sono servite più alle banche tedesche e francesi che ai greci e i termini del Memorandum sono stati imposti con la forza. Nel caso l’Europa decida di lasciarci al nostro destino pazienza, sopravvivremo. Non parlerei dunque di ricatto, ma di una trattativa in cui noi usiamo tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione. Non solo: lo scontro non riguarda la realtà di un paese periferico, interessa il futuro della sinistra europea e il suo confronto con l’ideologia neo-liberista che in questa vicenda ha mostrato tutti i suoi limiti».

L’intenzione a rimanere nell’euro dunque è ferrea?

«Assolutamente. La questione comunque non è euro o dracma. La domanda fondamentale da porsi è: “Quali sono le vere condizioni che non solo la Grecia, ma anche tutti i paesi del sud Europa, devono accettare per restare in Europa?”. Se stare nell’Unione significa accettare stipendi che somigliano più a quelli dei lavoratori di Cina e Romania e far fare tutti i sacrifici alla classe dei lavoratori e dei pensionati bisogna chiedersi ne se vale veramente la pena».

In Italia qual è lo scenario più plausibile? Monti come sta gestendo la situazione?

«Monti è per certi versi simile a Papandreou: promuove una politica di austerità ed è un uomo che lavora - volente o nolente - a vantaggio del grande capitale. Salverà l’Italia? Forse, non posso dirlo. La vera domanda è però la stessa che vale per la Grecia: “A che prezzo?”. I problemi strutturali dell’Italia sono evidenti da tempo. Non è una questione solamente di Berlusconi o non-Berlusconi, i preamboli delle difficoltà economiche di adesso vanno cercati indietro, in quello che oggi è il Pd perché le idee del neo-liberismo non appartengono soltanto alla destra, sono penetrate anche nella sinistra italiana come in quella greca. Basta rendersi conto che Papandreou, un socialista, ha lasciato entrare il Fmi in Grecia senza opporre resistenza e distruggendo così, in un sol colpo, anni di conquiste dei lavoratori».

Affermate di voler aumentare le tasse sui grandi capitali, ma come potete garantire che i grandi armatori greci non lascino il Paese?

«È un grosso problema perché un armatore può sempre cambiare bandiera. La situazione però deve assolutamente modificarsi. Attualmente una grossa compagnia di navigazione - commerciale o civile - paga meno tasse di un lavoratore immigrato. È assurdo. Ovviamente non faremo decisioni affrettate e vogliamo prima di tutto dialogare e cercare un compromesso con gli armatori. Non ho molte speranze, ma lo Stato ha forti argomenti su cui deve far leva. Ad esempio gli armatori che gestiscono il trasporto tra le isole ricevono sussidi statali. Il traghetto tra Atene e Creta costa 30 euro, lo Stato ne mette 15. Perché? Qui c'è spazio per trattare».

È spaventato dall'idea di andare al governo?

«Paura no, ma apprensione sì. Siamo balzati da piccolo partito di opposizione a maggioranza.

Portare avanti il programma politico che ci siamo preposti sarà una sfida durissima».

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