Crisi siriana

La (sottile) linea rossa di Obama

La (sottile) linea rossa di Obama

di Obama è un presidente molto ideologico e quindi poco portato a capire la realtà. Ma la realtà gli interessa meno del mondo fantasmatico del consenso, e per questo il fatto che l'Iran e la Siria di Assad, insieme agli Hezbollah, stiano adesso facendo festa, non lo percepisce come un fatto primario, non gli importa più di tanto. L'America, l'ha detto tante volte, non è caput mundi, ma primus inter pares, e così sia anche questa volta, dopo che già le ha sbagliate tutte in Medio oriente. Nella definizione della necessaria modestia degli Usa nel mondo, si distingue dal predecessore a cui non vuole essere avvicinato nemmeno per un istante, George W. Bush, il cow boy che guarda storto se ferito nell'onore, che al posto suo sarebbe saltato su un Tomahawk e avrebbe colpito Assad in mezzo alla fronte. Così fece Bush con Saddam Hussein, e Obama ha sempre guardato con disprezzo a questa scelta, anche se si è dimenticato che non sarebbe successo se suo padre nel '91 e Clinton qualche anno dopo non lo avessero lasciato a casa sua libero ancorché ferito, a galleggiare sul mare della prepotenza dittatoriale e dello scontro religioso islamico. Fra l'altro, Saddam è il diretto predecessore di Assad nell'uso del gas contro i curdi.
Dunque, l'America attaccherà o non attaccherà Assad? Sì, lo farà. Obama si è molto esercitato sui temi della guerra di necessità e la guerra di scelta per chiarire bene che lui odia la guerra in sé e per sé, e quindi quando annuncia che la farà comunque perché non può sopportare l'uso delle armi di distruzione di massa, va preso sul serio. La farà. Ma ha rimandato, perché il consenso per una personalità così innamorata dello specchio mediatico, diciamo pure vanitosa come il suo improbabile premio Nobel per la Pace, è essenziale: dopo essere stato abbandonato dall'Inghilterra e contestato duramente da Russia e Cina, ha capito che il consenso minimale per giustificare il fatto di andare contro sé stesso, lo può cercare solo in casa sua, dove di rado si da torto al presidente se si avventura in guerra. Al Congresso probabilmente fra otto giorni troverà il consenso.
«Minimale» è la parola giusta per la guerra che Obama cerca. Colpirà con una raffica di missili probabilmente concentrati in pochissime ore in modo da ridurre il rischio di contagio a tutto il Medio oriente, particolarmente a Israele: l'uso eventuale di gas contro Israele da parte siriana o degli Hezbollah non lascerebbe certamente Tzahal con le mani in mano, «l'esercito è più forte che mai» ha ripetuto ieri Netanyahu, l'allarme non è stato abbassato.
Il punto essenziale, però, quello che ci riguarda tutti, anche noi Europei, viene adesso: in Siria non c'è una parte dei buoni e una dei cattivi, e questo spiega le titubanze americane. Ci sono invece due cattivi che mettono in mezzo la popolazione civile e la fanno a pezzi per i loro interessi. Obama da solo non si può spenzolare troppo in aiuto dell'uno o dell'altro gruppo di mostri. Per questo ha invocato il sostegno del Congresso ora che la coalizione non è più compatta come sembrava. Le stragi le fa Assad, le fanno con lui gli Hezbollah per ordine degli iraniani ma dall'altra parte le fa anche Jabat al Nusra, parte della stessa Al Qaida responsabile dell'attacco alle Twin Towers. Qui sta uno dei punti più importanti: tutta la recentissima storia del Medio oriente ha messo l'Occidente di fronte allo stesso dilemma, anche l'Egitto o la Libia e la Tunisia. Il risultato della confusione suscitata dallo scontro fra odiosi dittatori e fanatici islamisti che spregiano ogni diritto umano in nome della Sharia, ha creato un'autentica contrazione psicotica del ruolo occidentale. Che faccio, si è chiesto Obama tutto il tempo da quando questo scontro è in atto in tutto il Medio oriente, mi butto a difendere l'odioso dittatore perché promette una maggiore stabilità, o dimostro fiducia verso l'islamista che opprime i suoi con la Sharia (come Morsi e in genere tutti i Fratelli musulmani, e come certo farebbero i ribelli siriani se vincessero) e cerca il califfato mondiale, uccidendo cristiani e maledicendo gli ebrei?
Oggi Obama non ha ancora una vera risposta. Nessuno ce l'ha. Però sa una cosa, che non va disprezzata: che non si deve lasciare che si usino armi di distruzione di massa. Non che sia meglio bombardare Aleppo che uccidere col gas nervino, e Assad ha fatto tutte e due le cose; non che la tragica mattanza di 1500 persone sia diversa da uccidere le precedenti 100mila, ma in mancanza di una linea rossa il mondo occidentale non ha nessun significato. Tutta la civiltà è cresciuta ponendosi, da sola, linee rosse da non superare, perché quando non ce n'è nessuna, allora è il momento della ferocia e della grettezza insite nella natura umana, e noi occidentali, poveri illusi, è proprio questo che combattiamo con tutte le nostre forze dalla nascita della civiltà giudaico cristiana. Linee rosse: non uccidere, non dire falsa testimonianza, non desiderare la donna d'altri… Ma come? L'ho fatto tante volte, dice Assad, una di più o di meno che può fare... Ma non è così, quando la linea rossa è stabilita, non va più superata. È la tradizione dell'Occidente, noi non siamo nati per il suk, almeno qualche volta. Questo Obama ha cercato di ripetere ieri quando ha annunciato che farà la guerra, anche se è un presidente cui la guerra fa orrore. Poiché è un personaggio poco credibile ha poi fatto il suo salto indietro: perché non sa bene a chi farla, alla fine, questa guerra in cui i civili sono le vittime di tutti, e perché senza la tv e i sondaggi non si può, nel mondo conosciuto, fare proprio niente.

Questi siamo noi, e ai tempi dei Dieci comandamenti, la tv non c'era.

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