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In Texas la macchina di morte che non ammette ripensamenti

Ieri iniezione letale a un ritardato. Nello Stato un terzo di tutte le esecuzioni d’America. L’avvocato dell’imputato impazzisce? Non basta a fermare il boia

In Texas la macchina di morte che non ammette ripensamenti

New York Il Texas ha eseguito l’ennesima condanna a morte. Martedì pomeriggio Marvin Wil­son, un uomo di 54 anni con ritar­do mentale, è stato giustiziato nel­la prigione st­atale di Huntsville do­po che la Corte Suprema degli Sta­ti Uniti aveva respinto l’ultimo ri­corso dei suoi avvocati. Prima di morire Marvin Wilson ha sorriso alle sue tre sorelle e al figlio che lo guardavano da dietro un vetro e ha detto loro che li amava e che amava sua madre, a cui avrebbero dovuto portare un grande abbrac­cio. «Portami a casa Gesù, portami a casa Signore»,ha dichiarato qual­ch­e istante prima di ricevere l'inie­zione letale. Quattordici minuti dopo, alle 18,27 locali, è stato di­chiarato morto.

Marvin Wilson era stato condan­nato a morte nel 1994 per aver ucci­so nel novembre 1992 Jerry Wil­liams, un ventunenne che lo aveva denunciato per spaccio alla poli­zia. Pochi giorni prima dell’omici­dio gli agenti avevano sequestrato a casa di Wilson 24 grammi di coca­ina. Il ragazzo fu ritrovato sul bor­do di una strada nudo, con indos­so solo i calzini, con i segni delle percosse e di due colpi di pistola sparati da distanza ravvicinata, uno alla testa e uno al collo. Wil­son, che era in libertà su cauzione, fu arrestato il giorno seguente in­sieme a un complice, Andrew Lewis.

A incastrarlo durante il pro­cesso fu proprio la moglie di Lewis secondo cui Wilson, che non ha mai ammesso di aver commesso l’omicidio,le avrebbe confidato la propriaresponsabilitàel’innocen­za del marito, poi condannato al­l’ergastolo. A scatenare le polemi­che è stato però il ritardo mentale dell’assassino, il cui quoziente in­tellettivo era di appena 61 punti, ben al di sotto dei 70 punti, soglia normalmente accettata in questi casi. Nell’appello presentato alla Corte Suprema infatti il suo avvo­cato Lee Kovarsky aveva spiegato che Wilson leggeva e scriveva peg­gio di un bambino di seconda ele­mentare e che non era in grado di gestire le proprie finanze o mante­nere un posto di lavoro. Gli avvoca­ti difensori puntavano sulla sen­tenza della Corte Suprema Atkins vs. Virginia del 2002, che ha proibi­to le esecuzioni di persone con ri­tardi mentali lasciando però la de­finizione del ritardo in mano ai sin­goli stati. Il Texas, secondo Kovar­sky, aggirerebbe però il divieto ab­bassando la soglia del ritardo men­tale a un punto in cui «è virtual­mente non ottenibile».

Oltre al quoziente intellettivo inoltre il Texas valuta l’infermità mentale su sette diversi criteri e la Corte d’appello criminale dello Stato ha modellato il profilo del criminale esentabile dalla pena di morte su quello di Lennie Small, protagoni­sta del romanzo di John Steinbeck «Uomini e topi»che non sa control­lar­e la propria forza e finisce per uc­cidere senza volerlo. Lo Stato non ha mai contestato il ritardo menta­le di Wilson, che è stato però ritenu­to non abbastanza ritardato per es­sere salvato dall'iniezione letale.

I suoi avvocati avevano anche insi­stito nel chiedere un esame del dna, dal momento che sul corpo di Williams era stato trovato un ca­pello grigio di una persone di raz­za bianca, mentre i tre protagoni­sti del caso erano tutti afroamerica­ni, ma neanche questo è bastato a fermare l’esecuzione dell’uomo, che è diventato così il settimo car­cerato giustiziato quest’anno in Texas, dove altre nove persone so­no in attesa di subire lo stesso trat­tamento nei prossimi mesi.

Nonostante California e Florida vantino un maggior numero di de­tenuti nel braccio della morte, il Texas è responsabile di un terzo delle esecuzioni effettuate negli Stati Uniti. Da quando la pena di morte è stata reintrodotta nel pae­se nel 1976, il Texas è lo stato che ha effettuato più esecuzioni, ben 480 contro le 109 avvenute in Virgi­nia, ben distanziata al secondo po­sto. Seguono poi Oklahoma con 99, Florida con 73, Missouri con 68, Alabama con 55, Georgia con 52, Ohio con 47. Sette stati che in t­o­tale hanno eseguito una ventina di pene capitali in più del solo Texas. In California, dove sono rinchiusi nel braccio della morte 721 dete­nuti contro i 317 del Texas, le ese­cuzioni sono state appena 13 negli ultimi 36 anni, nessuna delle quali effettuata dopo il 17 gennaio 2006.

Quella texana è una macchina del­la morte inarrestabile, che respin­ge gli appelli e non si ferma neppu­re davanti a casi dubbi. Una delle condanne più controverse è quel­la di Cameron Todd Willingham, giustiziato nel 2004 per l’omicidio delle tre figlie, morte nell’incen­dio della loro casa nel 1991. Sul suo caso lo scorso anno è stato gira­to un documentario che ha soste­nuto l’innocenza dell’uomo.

Un al­tro caso emblematico fu quello di Kelsey Patterson, giustiziato lo stesso anno per un duplice omici­dio co­mmesso nel 1992 nonostan­te il Texas Board of Pardons and Pa­roles, la divisione del dipartimen­to di Giustizia texano responsabi­le per grazie e libertà vigilata, aves­se chiesto la sospensione della pe­na per problemi mentali. Il Texas ha inoltre approvato le esecuzioni di un uomo il cui avvocato soffriva di disturbi mentali e aveva subito ripetuti richiami disciplinari, di un altro che aveva preso parte a una rapina con omicidio senza aver però ucciso la vittima e di un ragazzo che al momento di com­piere il delitto aveva 17 anni. Nulla sembra poter ostacolare la mac­china di morte del Texas.

E fra due settimane toccherà a John Ballen­tine, quarantenne afroamericano accusato di aver ucciso tre adole­scenti bianchi.

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