La falsa democrazia della sinistra

Pietro Mancini

Alle due alternative, che si presentano a chi intenda affrontare la crisi dei partiti - definiti, di recente, da Marco Follini «luoghi chiusi nei quali si esige una fedeltà complice» - cioè ignorarla oppure, più seriamente, affrontarla, varando nuove norme, che consentano una più larga partecipazione, e riducendo i costi della politica, i capi dell'Unione della Calabria ne hanno aggiunto una terza. Che, più che del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, sembra la brutta copia di una farsa di infimo livello. Ricordate, lo scorso anno, la retorica, all'interno dell'Unione, sulla indiscutibile legittimazione della leadership di Romano Prodi, grazie al bagno di democrazia delle elezioni primarie, a cui si disse che avrebbero partecipato milioni di persone? Bene, annunciarono i capataz dell'Ulivo calabrese, noi non saremo meno bravi e capaci dei nostri colonnelli di Roma. E organizzarono a Lamezia una mega assemblea dei «grandi elettori» del centro sinistra, per lanciare, in vista delle regionali del 2005, per la sfida al presidente uscente, Chiaravalloti (Cdl), don Agazio Loiero, già deputato forlaniano, quindi senatore del Ccd, poi ministro mastelliano, passato con Rutelli e adesso leader di un proprio partitino. In quella domenica di primavera, sfilarono davanti alle urne, per deporre le schede, esponenti dei partiti, delle associazioni culturali progressiste, sindacalisti, rappresentanti dei consumatori e del mondo del volontariato. «Un grande esempio di democrazia dal basso - esultarono i maggiorenti del prodismo della Sila, dell'Aspromonte e del Tirreno (inquinato, purtroppo ) -. La faccia pulita, onesta della Calabria, che intende voltar pagina, dopo 5 anni di malgoverno del centrodestra, è scesa in campo e ha scelto, democraticamente, il proprio candidato, che risolleverà la sorti della regione!».
In realtà - lo ha rivelato un giovane dirigente dello Sdi di Boselli, Saverio Greco - le cose non andarono affatto così. I capi dei Ds e dei Dl si misero d'accordo, a tavolino, sul nome di Loiero, la cui designazione venne ratificata dalle segreterie nazionali, cestinando la candidatura dell'ex senatore socialista, Cesare Marini. Quindi, don Agazio fu imposto alle ignare e obbedienti truppe, che furono mobilitate e messe in fila, ordinatamente - come avveniva nelle «democrazie» socialiste dei Paesi dell’Est, prima del crollo del muro di Berlino - davanti alle urne, per offrire ai giornali de alle tv l'immagine, sapientemente orchestrata, di una salutare «rivoluzione democratica». «Calabria Ora», il quotidiano che ha ospitato la rivelazione del socialista pentito, ha parlato di «truffa annunciata», spiegandone dettagliatamente i meccanismi. Mentre ai tempi della prima Repubblica, ai clientes, si assicurava un impiego statale o regionale, lo scorso anno si è seguita un'altra strada: si è consigliato ai notabili di aprire delle «onlus», di predisporre uno statuto, di quelli ampi e onnicomprensivi e, subito dopo, il consigliere (regionale, provinciale o comunale) ha fatto arrivare i contributi. Anche se quella associazione, nell’arco di un anno, fosse riuscita a organizzare solo una sagra della patata, del peperoncino o della sopressata. Insomma, un meccanismo ben oliato, che funziona da anni in Calabria, con i clientes sempre puntuali a rispondere presente alla chiamata alle armi elettorale dei big, che dirigono il flusso dei finanziamenti, regionali, provinciali e comunali. Nei giorni precedenti la pletorica assemblea di Lamezia, un consigliere provinciale di Cosenza raccontava, ridendo, agli amici di esser stato nominato presidente di ben quattro associazioni, che avrebbero mandato all'adunata unionista almeno quattro delegati, tutti pronti a tuffarsi nel grande bagno di democrazia e a scrivere sulle schede il nome, suggerito (o calato?) dai vertici dei partiti.
E adesso, rivelato pubblicamente il trucco, cosa succederà? Agazio Loiero non è più il governatore indiscusso e libero di assumere tutte le decisioni. Ma, dopo i dissensi esplosi tra il presidente e i capi della Quercia e del suo ex partito, la Margherita, sulle nomine nella sanità pubblica, sull'inchiesta sul delitto Fortugno e sulle candidature alle politiche, la confusione regna sovrana nel centrosinistra calabrese. I capi diessini e rutelliani, denotando scarsa originalità, hanno avviato una lunga verifica, che dovrebbe terminare a settembre. Sino ad allora, Loiero sarà affiancato da una «cabina di regia», nominata dalle segreterie regionali dei due maggiori partiti della galassia prodiana, che così imbarcheranno in giunta altri uomini. E, intanto, spunta l'idea di una nuova assemblea, non più finta, come quella del 2005.
E, mentre l'opposizione brilla per assenza, l'opinione pubblica calabrese è sempre più estranea ai giochi dei partiti e giustamente severa contro il trasformismo e il gattopardismo, molto frequenti nella storia e nel costume delle classi dirigenti della Calabria e del Mezzogiorno.

Dove le riforme e i cambiamenti sono falliti, soprattutto perché non vengono mai affidati a personaggi realmente nuovi, ma proprio ai responsabili dello sfascio, politico e morale, del Sud.

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