Roma

Fanny Ardant: «Divento italiana per la Duras»

L’attrice per due sere all’Eliseo nei panni di una prostituta cui è stato chiesto di far innamorare un cliente in solo sei giorni

Ariela Piattelli

«Da sola non dico nulla... forse è per questo che sono un’attrice, magari posso ascoltarvi». Sorride Fanny Ardant, bellissima, eterea, con tutta l’eleganza che si porta dietro. L’attrice francese ha invece molto da raccontare e lo fa in un italiano impeccabile. La «signora della porta accanto» sarà stasera e domani al teatro Eliseo per il primo appuntamento della rassegna «Sinfonia per corpi soli - Ritratti di donne fra parole e musica», con lo spettacolo La maladie de la mort di Marguerite Duras per la regia di Bérangère Bonvoisin.
«È un testo misterioso e ambivalente» spiega l’attrice, che sola in scena reciterà in italiano la parte di una prostituta pagata in anticipo per vincere una difficile sfida: far innamorare un uomo incapace di amare in sole sei notti. «Quando ho letto La maladie de la mort ho detto subito che sarebbe stato bello interpretarlo in italiano per universalizzarlo». E la nostra lingua l’ha imparata dai registi e attori italiani con cui ha lavorato: «Sentivo Monicelli, Mastroianni, Scola parlare in francese con quella “erre”- ricorda l’Ardant -. Loro si sforzavano di parlare la mia lingua, io allora ho deciso di imparare l’italiano in modo selvaggio. Amo l’Italia, il suo cibo, il vino e il grande cinema. E amo Roma per questo ci vengo spesso». La musa di Truffaut e Resnais non nasconde l’emozione per lo spettacolo di questa sera anche perché sa bene che calcherà la scena di un teatro storico della Capitale: «Per questo spettacolo sento gioia, segue però la paura, ma poi mi dico “Alè, andiamo, se non ora quando!”» Il teatro suscita in lei un sentimento contraddittorio, una sorta di dipendenza: «A volte penso che detesto il teatro. Alla fine di uno spettacolo mi dico “mai più”. Invece poi non resisto e ci ritorno. Per l’attore il teatro è una forma di purificazione». L’arte le scorre nelle vene e lo stesso sentimento di dipendenza ce l’ha per il suo grande amore di sempre, il cinema. «Teatro, cinema e televisione per l’attore sono la stessa cosa, è il pubblico che cambia. E se mi chiedessero cosa avrei voluto fare da grande risponderei sempre l’attrice, non potrebbe essere altrimenti». La vita e l’arte dunque sono legate a doppio filo e spiegando La maladie de la mort rivela la sua filosofia sull’esistenza umana: «La malattia della morte è l’incapacità di raggiungere l’altro. L’amore dà l’opportunità di uscire da se stessi. È vero, ti mette in pericolo, ma mettersi in pericolo significa dare senso alla vita. Io credo negli individui e credo che la verità della vita sia creare un ponte verso l’altro».
La Ardant non vuole far nessun bilancio sul passato, «è troppo presto» dice «posso dire però che alla fine dei conti non resta nulla. Niente resiste al tempo. Resta solo l’amore che si riesce a dare».


E chissà se Fanny, mentre pronunciava queste parole, stava pensando all’amore che le ha lasciato Francois Truffaut, il regista suo compagno cui lei è rimasta accanto fino alla fine.

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