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Il fantasma Mogherini commissariata dalla Merkel anche sulla pace nucleare

Ha messo il cappello sull'accordo con l'Iran concluso da altri. Perché la vera regia europea era in mano a una fedelissima di frau Angela: per Lady Pesc solo un ruolo di rappresentanza

Il fantasma Mogherini commissariata dalla Merkel anche sulla pace nucleare

I radar della diplomazia internazionale ne registravano la presenza fissa a Vienna. Nella capitale austriaca erano in corso le ultime febbrili trattative sul nucleare iraniano. Federica Mogherini, l'Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza dell'Unione europea, era impegnatissima in questi negoziati cruciali. Da Lady Ashton aveva ereditato il compito di coordinare i colloqui a nome dell'Ue. Era talmente presa da non potersi occupare d'altro.

Molti si chiedevano come mai la sua voce, evanescente di per sé, non si fosse levata sulla crisi in Grecia. E neppure sui sempre più massicci sbarchi di immigrati, dopo il fuoco di paglia di due mesi fa: un'emergenza che continua, ma non per Lady Pesc. Nemmeno per l'attentato dei jihadisti al consolato italiano del Cairo aveva rilasciato dichiarazioni che non fossero di circostanza. Un silenzio assordante, non nuovo.

Ed ecco spiegato l'arcano: l'ex capitale asburgica assorbiva totalmente le energie di Federica Mogherini. Che nei rari momenti liberi prendeva il largo, e non soltanto per metafora. Al braccio di ferro con Teheran preferiva le bracciate nel mare di Capalbio. Domenica 5 luglio, mentre i greci votavano al referendum nel drammatico quanto vano tentativo di fermare l'austerity imposta dall'Ue (cioè dalla Germania), Mogherini si ritemprava nella mecca delle vacanze radical-chic. Giunta il giorno prima con il marito Matteo Rebesani e una delle figlie, il capo della diplomazia Ue si è svegliata presto, alle 10 era in spiaggia, e quando gli ombrelloni si sono affollati ha allontanato il chiacchiericcio con una nuotata ristoratrice.

Nel pomeriggio, rilassata e abbronzata, era di nuovo a Vienna pronta a disinnescare le testate. E dopo una settimana esultava per l'accordo raggiunto dopo tante fatiche. Ma di chi sono i veri meriti? Il Corriere della Sera , che pure è sensibile alla causa renziana, ha minimizzato il contributo del nostro ex ministro: «Ha svolto con competenza il suo ruolo di onesto mediatore, conquistandosi la fiducia dei due protagonisti principali. E avvalendosi di una vice formidabile: la diplomatica tedesca Helga Schmid». Tradotto in volgare, Federica Mogherini ha messo il cappello su un accordo concluso da altri: il segretario di stato Usa, John Kerry, e il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, protagonista di uno scontro con il capo degli Esteri dell'Ue finito sui giornali di tutto il mondo. Esasperata dalla lentezza delle trattative che la tenevano lontana da Capalbio, e tradita dall'inesperienza in vertici di quel profilo, la coordinatrice dei colloqui ha fatto balenare l'ipotesi di abbandonare il tavolo. Al che, il plenipotenziario di Teheran le ha risposto secco: «Mai minacciare un iraniano». Uno slogan diventato virale su Twitter: #NeverThreatenAnIranian .

Ma oltre a Kerry e al barbuto e sorridente Zarif, c'era anche una donna tra i negoziatori «veri». E non si trattava della Mogherini, ma della sua vice, una tedesca. Helga Schmid era già nella squadra di Javier Solana, poi della baronessa Catherine Ashton ed è rimasta con la Mogherini come capo degli affari politici. La lady di ferro del negoziato antinucleare è questa bella signora alta, bionda, occhi azzurri e perfetta conoscenza dei dossier, uno dei personaggi più in vista della diplomazia di Berlino. E, ovviamente, persona di fiducia di Angela Merkel e angelo custode di Lady Pesc.

Sarebbe eccessivo parlare di commissariamento tedesco. È però un fatto che la Mogherini è perseguitata dal curioso destino di finire sempre nel cono d'ombra di qualcuno. «Una radical-chic senza carisma»: così la stampa internazionale la dipinse quando Renzi la impose come Alto rappresentante della politica estera Ue rinunciando ad altre poltrone di peso. A Bruxelles hanno fatto di tutto per sottrarle compiti operativi lasciandole quelli di rappresentanza.

Per la prima volta il capo della diplomazia non è più il numero 2 della Commissione. Il presidente Jean-Claude Juncker ha infatti scelto come primo vicepresidente - e quindi braccio destro - l'olandese Frans Timmermans, e ha piazzato l'ufficio della Mogherini a Palazzo Berlaymont un piano sotto gli altri vice. Qualche mese dopo ha fatto di peggio, togliendole due deleghe appartenute a Catherine Ashton (cioè gli incarichi di consigliere speciale per la difesa europea e le politiche della sicurezza) e affidandole a Michel Barnier «in virtù della sua vasta esperienza». Che evidentemente manca a Lady Pesc. Ma paradossalmente nemmeno Barnier è un esperto di strategie internazionali: nella commissione Barroso era commissario per il Mercato interno. Il che conferma quanto fosse importante per gli eurocrati restringere il campo d'azione della nuova arrivata.

È di ieri l'ultima polemica sollevata dal Daily Telgraph che ha denunciato il costo eccessivo dei servizi da tavola usati dal Servizio Europeo per l'Azione Esterna (Seae), guidato dalla Mogherini, nel quartier generale di Bruxelles e nelle 140 rappresentanze dell'Ue all'estero: 3 milioni di euro, 10 volte quello che spende la Casa Bianca. Lei ha replicato con un tweet : «Nessun servizio piatti Ue da 3 mln. È il tetto massimo di spesa per 4 anni su 140 delegazioni. Risparmio rispetto al passato».

«Da giovane ha fatto tutte le cose giuste», compresa l'adesione ai «giusti gruppi giovanili socialisti», senza però dimostrare capacità di leadership: così ha scritto di lei il Wall Street Journal . Le Monde , giornale della sinistra francese, ha notato che la Mogherini «soddisfa comodamente diverse condizioni» (è donna, socialista e conosce le lingue) ma le manca «l'esperienza e l'aura personale che questa conferisce». L' Economist ha infierito: «Potrebbe far bene su temi di second'ordine sui quali l'Europa non è spaccata, come i Balcani».

Fedeli a questi consigli, Francia e Germania hanno tagliato fuori Lady Pesc dai colloqui con Vladimir Putin sull'Ucraina, l'hanno marginalizzata nella crisi libica e nei rapporti con il Medio Oriente. Le hanno però scaricato il caso più scottante, quello delle quote di migranti da ripartire nell'Ue, salvo poi sconfessare le sue ipotesi. Il piano in dieci punti redatto con il commissario all'immigrazione Avramopoulos prevedeva, tra l'altro, di prendere a tutti le impronte digitali, distruggere le imbarcazioni degli scafisti, derogare al Regolamento di Dublino, rimpatriare rapidamente i clandestini.

Misure che sembravano scritte da Salvini, Le Pen e Farage.

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