Cronache

Il fascino discreto di Acqui e dintorni

Non aspettatevi nomi, luoghi precisi, ma solo immagini e sensazioni. Quelle che ti lascia addosso un veloce passaggio in auto. Così non so se quel campanile corrisponde a Castel Rocchero, se quei tetti in cima alla collina sono di Terzo, se da questo colle il panorama spazia su Melazzo, se quel castello.... Solo quello ho visto mi ha come riempito l’anima. La giornata splendida? Nemmeno a dirlo, con quei nuvoloni che poi hanno regalato la pioggia che promettevano. Il fatto è che per una ligure-genovese abituata alla città, alla mia città, la campagna piemontese, di quel Piemonte a due passi da casa che quasi quasi ti sembra di aver appena superato il passo del Turchino, riesce davvero a stupirti.
La città. La città, anzi la cittadina è Acqui, Acqui Terme per le guide turistiche. Già perché di turismo qui ce n’è e ce ne è sempre stato proprio per via delle Terme e della Bollente. Ma molto è cambiato in questi ultimissimi anni, mi assicura chi ha assistito a questa trasformazione. Un maquillage che ha del prodigioso, considerando quello che ho visto di Borgo Pisterna. Un quartiere medievale dove il degrado la faceva da padrone. Oggi i suoi vicoli sono dei veri gioielli, il sindaco Rapetti ha «rubato» due piazzette per trasformarle in due anfiteatri all’aperto per le manifestazioni estive. E poi cristalli, mattoni rossi, arcate, pesanti portoni, pulizia. Assoluta. Non so perché mi vengono in mente certi bellissimi carruggi... Poi corso Italia. Ecco quello che una zona pedonale dovrebbe essere. Gente che passeggia e si ferma a prendere un aperitivo. Analcolico? Chissà, in una città dove nella fontana a scalea lungo la vecchia strada per la stazione in un capodanno al posto dell’acqua è stato fatto scorrere del chiaretto (sempre che non sia una leggenda metropolitana).
Siamo nel paese del bengodi? La risposta è no, perché i loro bei problemi ce li hanno anche ad Acqui. Quello dei rifiuti sembrano averlo risolto con ’unattenta raccolta differenziata, quello dell’acqua non del tutto. Mi hanno detto che in estate spesso viene razionata. Ma si sa nessuno è perfetto.
Il fatto è che ogni cosa sembra essere nel posto dove ti aspetteresti di trovarla, al suo posto. Come quelle villette che ti fanno venire il torcicollo, una a destra una a sinistra, lungo la strada per Moirano. Sali, lentamente, sali, sbirci nei giardini, oltre ai cancelli in ferro battuto a due minuti dal centro, vai avanti e come per incanto ti accorgi che qualcosa sta cambiando. Che i giardini lasciano il posto alle vigne, quelle che salgono, quelle di traverso, quelle vicino al campo arato, tutte che sembrano fatte con la squadra, e le ville diventano cascine con qualche macchia azzurra che rivela una piscina. Ogni curva una piccola valle diversa, un panorama che sa di vino, di gente che lavora e di soldi. E via, a contare i paesini e i campanili, e tu, «con quella faccia un po’ così», ti dici che in questo posto, anche con questi nuvoloni, anche se la tua vita è altrove, ti piacerebbe viverci.


Anche se manca il mare.

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