Cultura e Spettacoli

"Fascisti immaginati" ovvero quando la politica si costruisce un Bildungsroman

La polemica tra «Il Secolo» e «Il Predellino» sull'eredità di Giano Accame e sull'ultimo libro di Fabio Torriero «Federalismo Tricolore».

Roma - La guerriglia quotidiana tra Pdl e Fli si è trasferita - e c'era da aspettarselo - anche in ambito culturale. La secessione finiana non poteva avvenire senza che i seguaci del presidente della Camera rivendicassero una parte dell'eredità ideologica della Destra.
E più lo scontro in Parlamento si fa aspro più si cercano «padri nobili» dai quali far discendere il sacro furore che anima entrambi gli schieramenti. Anche se, a dire il vero, sono soprattutto i finiani a cercare un giustificativo per questa «seconda navigazione» che li ha allontanati dalla comunità originaria. E in questa rincorsa ognuno cerca di portare un sacchetto di terra madre con sé.
E così qualche giorno fa Il Secolo, l'house organ dei finiani pagato con i contributi statali del Pdl, ha attaccato duramente una recensione del sito web Il Predellino. «E adesso si inventano il Giano Accame alla Stracquadanio», titolo molto hard dedicato al deputato pidiellino animatore della webzine.
Perché «accantonato» Giorgio Almirante (che Fini cita ogni tanto nei suoi discorsi per non dispiacere lo «zoccolo duro»), silenziati Ezra Pound e Paul Céline, alla destra fillina non resta che la salvaguardia dei fascisti «eretici» come Giano Accame presidenzialista negli anni '60, non ostile a Craxi negli anni '80 (perché il fascismo è socialista) e comunque «intellettuale».
Qual è stata dunque la colpa del «Predellino»? Aver recensito il libro «Federalismo Tricolore» di Fabio Torriero, giornalista e pensatore di destra, sicuramente non ostile al finismo, ma certamente pronto a mettere in discussione tutti i luoghi comuni della Destra. L'ultima fatica di Torriero si sostanzia nella ricerca di un humus federalista nella cultura missina e post-missina. Il riferimento corre dunque a Giano Accame che col suo «Socialismo Tricolore» ripensò con un ossimoro le radici fondanti della dottrina craxiana inclusa quell'attenzione alla piccola e media impresa che ha contraddistinto anche l'opera di Torriero.
Una provocazione da «fascista eretico» che Alfonso Piscitelli sul «Predellino» non ha mancato di notare. «Torriero - ha scritto - si accorge anche che bisogna superare la prospettiva della vecchia destra centralista e certi slogan che oggi farebbero solo il gioco di coloro che ancora marciano sul carrozzone statalista» perché «la chiave della conciliazione tra cultura di destra e nuove istanze federaliste è senza dubbio nel principio della sussidiarietà, della coordinazione organica», superando sia il vecchio centralismo che la esplosione dei localismi.
Insomma, niente più che una serena riflessione accompagnata da alcune annotazioni critiche sulla recente deriva culturale finiana. In primis, l'antileghismo come collante politico. In secundis, il parlamentarismo e il burocratismo comunitario a tutti i costi (e qui la divergenza con Accame si fa profonda). In tertiis, il divorzio con la Destra culturale sia quella «ufficiale» (Veneziani, Malgieri) che quella «eretica» (Guerri, Sgarbi, Feltri) in virtù di una sudditanza psicologica nei confronti dei cliché della sinistra intellettuale. L'unica ironia è rivolta nei confronti di Benedetto Della Vedova, individuato come neoispiratore del finismo culturale, lui che è fondamentalmente un liberal.
Luciano Lanna, direttore del Secolo e «figlio» di quella stessa tradizione, non l'ha presa con aplomb e ha rinfacciato a Piscitelli e al «Predellino» di aver male interpretato Accame che, se attualizzato, oggi sarebbe favorevole al «patto costituzionale» Fini-D'Alema. E comunque, secondo Lanna, per Accame fascismo faceva rima con libertà e quindi non avrebbe avuto difficoltà a dialogare con quella sinistra alla Veltroni, alla Cacciari, alla Lerner con i quali la Destra non si interfaccia. «Un conto era Craxi, un altro la Lega», conclude.
La controreplica del «Predellino» è stata molto didascalica perché, in fondo, non c'è nulla da replicare. La Destra e la «destra diversa» di Fini non si parlano più e non hanno niente da dirsi perché una è rimasta se stessa, custode della propria identità, e l'altra si è perduta nel continuo divenire, in una sorta di sartriana «nientificazione» nella quale Che Guevara, Madre Teresa e Berto Ricci sono rizomaticamente mescolati.
Ecco forse sarebbe bastato questo. Il Giano Accame del quale Luciano Lanna parla al suo pubblico è, parafrasando un intrigante volumetto scritto assieme al «gianburrasca» Filippo Rossi, è un fascista «immaginato», piegato alla necessità di costruire un retroterra alla Kehre finiana. Come un interminabile Bildungsroman nel quale hegelianamente si deve dare per forza una sintesi agli opposti.
La tragedia di Gianfranco Fini e dei suoi sodali, in fondo, è proprio questa. La necessità di trovare una spiegazione, il dover apporre un «come volevasi dimostrare» alla fine di ogni teorema. Il federalismo fa parte della cultura italiana. Su Rosmini, Cattaneo e Gioberti hanno scritto pagine interessanti anche Gramsci e Leone De Castris (quest'ultimo rivoltando anche i canoni estetici di Lukács e di Croce).

Senza doversene vergognare per non recar dispiacere al líder máximo.

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