Cronaca locale

Fece a pezzi la madre ma è «sano di mente»: ergastolo a Zubine

Il matricida: «Ho amato e amo ancora la mamma». Due mesi alla complice

Enrico Lagattolla

«Ho sempre amato mia mamma, la amo ancora, l’ho sempre accudita quando ne aveva bisogno e porterò sempre nel cuore la sofferenza per la sua morte». Le ultime parole di Boris Zubine, imputato per omicidio volontario aggravato della madre e soppressione di cadavere, prima che la il Tribunale pronunci la sentenza. Dopo due ore di camera di consiglio, la prima corte d’Assise lo condanna all’ergastolo. Due mesi (pena sospesa) per la compagna Marinella Russo, accusata di favoreggiamento.
Lo sguardo basso, fissa il vuoto. Zubine incrocia di rado gli occhi della Russo. Ascolta quasi assente le parole del pubblico ministero. Un’arringa dura, quella del pm Luca Poniz, che chiama la corte a «porre la parola fine a questa commedia», di fronte a «un punto chiaro: l’omicidio di Maria Arena è attribuibile con certezza a Boris Zubine, come lui stesso ha pacificamente confessato in quest’aula».
Macabra, la ricostruzione del delitto. Dalla scoperta del corpo dell’ex cantante lirica, colpita con un ferro da stiro e poi fatta a pezzi con una sega e nascosta in otto sacchi neri nello scantinato dello stabile di via delle Asturie, alla confessione dell’imputato, sulle cui spalle grava già una precedente condanna per omicidio volontario. Fino alle richieste di condanna: ergastolo, isolamento diurno per un anno, pubblicazione della sentenza di condanna su un quotidiano, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e il ricovero in casa di cura per dieci anni per Zubine, tre anni di reclusione per Marinella Russo. Poi, un accenno polemico alla richiesta avanzata dal difensore di Zubine in sede di udienza preliminare di un’integrazione alla perizia che l’anno scorso aveva definito l’imputato seminfermo di mente, pericoloso socialmente, ma in grado di stare a giudizio. Trentasette pagine in cui si leggeva che «il comportamento del soggetto è affetto da grave disturbo della personalità e improntato a reazioni esplosive e manifestazioni aggressive». «Credo - ha concluso Poniz - che si possa dire che Zubine non è infermo di mente né seminfermo (come la prima perizia aveva stabilito, ndr)». Anzi, secondo l’accusa l’uomo «ha preconfezionato elementi a dimostrare ciò che non è».
Per l’avvocato Raffaele Ronchi, difensore di Zubine, si tratta di «una sentenza scandalosa, perché il giudice non ha tenuto conto del parere degli esperti psichiatri, e si è evidentemente arrogato il potere di nominarsi super perito. Potere che il nuovo codice non gli concede più». Ronchi, che nella sua arringa aveva chiesto l’assoluzione per totale incapacità di intendere e di volere e di vizio di mente e, in subordine il riconoscimento delle attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti, «il giudice avrebbe potuto pronunciare una sentenza equa, condannandolo a 5 anni e disponendo il suo ricovero in una struttura psichiatrica per almeno cinque anni. E invece non gli ha riconosciuto nemmeno la seminfermità mentale. È incredibile».
Fuori dall’aula, lontana da Zubine portato via in manette, resta Marinella Russo. «Mi sento demoralizzata - dice -, speravo gli dessero 20 anni. Di certo l’ergastolo non me l’aspettavo. Per me sono sollevata, avrei preferito l'assoluzione ma va bene così». Eppure, come se nulla fosse cambiato. «Ci hanno già concesso i colloqui in carcere, andrò a trovarlo.

Del resto, stiamo ancora insieme».

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