Stile

Fegatini, spezie o foglie di caffè I modi di cucinare il piccione

«È carne magra, ottima per i bambini» svela Carlo Cracco che lo abbina al torrone. Bottura preferisce il miele di arancio

Maurizio BerteraTutti pazzi per il piccione. Cibo in verità, mai passato di moda. Da quando la cucina è diventata qualcosa in più che mero nutrimento, il volatile è stato innalzato al vertice della piramide tecnico-gustativa: merito del tipo di carne particolarmente gustosa se frollata e cotta al punto giusto, ossia ancora rossa dentro. Fosse facile Soprattutto in Francia fa parte del ristretto novero delle preparazioni eterne, sempre amate e che fanno la differenza tra cuoco e cuoco. Chi serve un «piccione» classico in primis ma anche nella personale visione comme il faut è un signor chef, sennò resterà solo «bravino». Il motivo? Possiede una carne particolare per conformazione e consistenza, diversa anche dai «parenti prossimi» come la pernice. E se si decide per una ricetta classica, ossia senza basse temperature o roner, richiede una cottura complessa e precisa al millimetro (vedi quella di Niko Romito, in basso): ma ne vale la pena, per chi la prepara e chi la gusta. E al di là della presenza obbligatoria - in tutte le carte dei migliori locali italiani, a meno di essere dei buoni dilettanti o accontentarsi di un petto già pronto per la cottura, ha senso sedersi in una tavola «seria» per goderselo appieno. È curioso constatare che parecchi tra i top-chef non abbiano scoperto subito il piccione. Carlo Cracco, per esempio, non ha mai nascosto che sino a ventuno anni non lo conosceva minimamente. «Poi è diventata una delle mie passioni e ho deciso che tutti i miei figli dovevano assaggiarla al sesto mese: è carne rossa, magra, la migliore per i più piccoli». Svezzamento a parte, quasi ogni anno, Cracco estrae dal cilindro una ricetta clamorosa: l'ultima vede il piccione cotto intero in sfoglia di caffè, con tutta la pelle, e servito con una patata bollita. Lui la definisce «semplice», in realtà è schiacciata e condita con una polvere di capperi, origano e torrone grattugiato. In mezzo c'è la sorpresa: una cialda di mascarpone. Per la cronaca, i «cracchisti» ricordano commossi il suo Piccione alle spezie cotto allo spiedo, torrone di fegatini e nocciole. Il «contorno» lascia ampi margini di poesia (e le foto del servizio, lo fanno intuire), spaziando dalla marmellata cruda di cavolo rosso di Enrico Crippa alla crema di semi di girasole ai pepi di Max Alajmo, dalla laccatura con miele di arancio e spezie di Massimo Bottura che ha chiamato il suo piatto Caccia al piccione, anche se non è un volatile che si caccia - al mix di fortunella (il kumquat o mandarino cinese), cavolfiori, crema di barbabietole, chinotto e Sherry Cask di Alfio Ghezzi. Poi ci sono classicisti e neo-classicisti. Antonino Cannavacciuolo (primo gruppo) conferma che la Suprema di piccione, fegato grasso al grué di cacao, salsa al Banyuls è tra i piatti più richiesti dell'ultimo periodo a Villa Crespi mentre il divino Gualtiero non poteva che approfittare del momento d'oro per riportare al Marchesino la preparazione in sala (roba d'alta scuola) del Piccione al Torcolato, spinaci, pinoli e uvetta. Nel gruppo dei neo-classicisti mettiamo Enrico Bartolini (Cosce in brochette con paté di rigaglie e pane intinto nel sugo di piccione, petto con fondo di piccione al vino rosso) ed Eugenio Boer che ha una passione «sconsiderata» (parole sue) per il volatile scoperto, studiato e amato grazie a Gaetano Trovato, la «firma» del celebre Arnolfo di Colle Val d'Elsa. Un maestro in materia che a sua volta era stato educato da Roger Vergé, uno dei fondatori della Nouvelle Cuisine. Il piatto in carta a Essenza Piccione, olivello spinoso, pastinaca e tarassaco è un piccolo gioiello.

Ma anche quelli dei cuochi citati prima non scherzano, anzi.

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