Cultura e Spettacoli

La felicità nasce dal dolore. E dalle voci intorno

Per alcuni anni un mio amico, padre di un quindicenne e di una tredicenne, mi ha invitato al mare a Punta Ala affinché lo aiutassi a inseguire giorno e notte i suoi figli. Mi accorsi subito che per lui era davvero dura. Sulla spiaggia non ci andavano quasi mai perché, soprattutto la ragazza, incominciava a smaniare appena alzata dal letto per organizzare con le amiche la notte in discoteca. Allora il padre doveva fare la spola tra una villa e l’altra, tra una casa e un maneggio per accompagnare o ritirare uno dei due o tutt’e due. Il caos da gestire era talmente tanto che, giunta la sera, ci prendeva una specie di delirio il quale toccava a me gestire. I ragazzi cercavano di stamparsi sul corpo tatuaggi su tatuaggi; volevano a ogni ora rimandare l’appuntamento per il rientro. La paura del padre restava quella della droga. Eppure in questo folle deambulare senza meta e orario, all’interno di una famiglia spaccata e conflittuale, tutti noi, grandi e piccoli, eravamo preda di una eccitazione continua come se l’impossibilità apparente di trovare un senso a quel finimondo, sviluppasse affetti sinceri, a dir poco «spudorati». Insomma il caos dei tredicenni aiutava ad andare «oltre», cioè «indietro», nel senso che gli adulti tornavano a essere adolescenti.
Fare il bodyguard, il consigliere, il pianificatore di mosse e contromosse non solo mi rese euforico e vitale, ma innanzitutto mi aiutò a consolidare, con lucidità, l’idea che nelle famiglie divise, nei rapporti mancati o difficili tra genitori e figli, fino alle sociologiche conclusioni generazionali, mancasse l’esperienza del dolore. Sì, ho scritto bene, dolore: l’unica esperienza che unisce e non divide; il dolore che fa da collante affinché si possa trovare una via per ricominciare a comunicare, a confessarsi l’amore che si prova, a stare insieme. Ecco Maria Pia Ammirati, nel romanzo Le voci intorno (Cairo editore, pag. 93, euro 9), porta sulla pagina «euforia» e «dolore». È quantomeno curioso associare i due termini, ma proprio perché la scrittrice osa riesce dove appunto esiste una realtà che la sostiene. Una famiglia si sfascia per la morte della moglie e madre di due ragazze: Alice e Aurora. Il padre, proprio per congelare il dolore della perdita, immobilizza la vita della famigliola trafitta. La scrittura è asciutta e veloce; è anch’essa euforica perché affida alla sedicenne Alice il punto di vista. E Alice ci contagia e ci fa scorrere le pagine fino a quando, dopo un incidente in auto, precipita in un coma in apparenza irreversibile. Però da questa condizione continua a raccontarci, mentre gli altri si domandano (dopo quattro anni di esistenza vegetale) se staccare o no la spina alla macchina che la tiene in vita. È il padre che se lo sta chiedendo. Ma grazie alla bulimica Aurora (sorella minore) l’eutanasia è rimandata. La vita ha vinto, Alice si risveglia.
Le voci intorno è un romanzo di una freschezza disarmante pur affrontando temi difficili. Il dolore della perdita aveva diviso perché rimosso; il dolore che si affronta non solo unisce, ma si propone come motore di vita.

Esso ricondurrà all’amore smarrito; esso riavvia il «sangue che pompa più veloce e il cuore che va a ritmo di musica».

Commenti