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Filosofo attacchino fonda l’università della Lega e si mette a studiare l’arabo

Franco Manzato, cresciuto alla scuola di un fabbro e di un barbiere: "Prima lezione, come si fa la colla". Oggi "laurea" la classe dirigente del Carroccio: "Ho dovuto istituire il numero chiuso"

Filosofo attacchino fonda l’università della Lega e si mette a studiare l’arabo

«Min ayna anta?». Prego? «Da dove vègnelo?». Da Verona. «Io da Oderzo». Meno male, si comincia a ragionare. È che proprio non te la aspetti, da un assessore regionale all’Agricoltura, per di più trevigiano, per di più leghista, la traduzione del più classico dei convenevoli - «Da dove viene?» - in arabo anziché in dialetto veneto (pardon, in léngoa veneta). Franco Manzato è fatto così: gli piace stupire. Prima di tutto se stesso. Oggi studia con profitto la lingua del profeta di Allah. Ma appena ieri - era marzo - lo trovavi impegnatissimo, da assessore al Turismo, a promuovere il tour della Madre di Dio, itinerario escursionistico-devozionale in nove tappe (bollato come «disgustoso» dall’allora sindaco di Venezia, Massimo Cacciari) sulle tracce della Madonna nei luoghi in cui è apparsa negli ultimi 860 anni, e cioè Crespano del Grappa (1150), Villanova d’Istrana (1400), Castello di Godego (1420), Conscio (1451), Robegano (1470), Bonisiolo (1607), Isola di Pellestrina (1716) e Maserada sul Piave (1722).
Nessuna conversione alle viste, ci mancherebbe altro, nonostante si rivolga al suo mentore politico, il sindaco di Treviso, nonché leader indiscusso della Liga veneta, Gian Paolo Gobbo, chiamandolo imam. È che il giovanotto, 44 anni compiuti a maggio, ha sempre avuto un ingegno proteiforme. Prima lo metteva al servizio della cultura: ha promosso il primo Festival del corto comico, che a Caorle premia il miglior film di genere brillante purché abbia per almeno metà della durata i dialoghi in lingua veneta, sottotitolati in italiano. Ora lo dispiega in agricoltura: ha sperimentato sul Raboso del Piave il primo microchip alcolico. «Si colloca sotto l’etichetta della bottiglia. Quando il consumatore avvicina il telefonino, sul display compare il video del vigneto e la faccia del produttore che gli spiega che vino sta bevendo. Bello, no?».
Ma non è certo per queste invenzioni un po’ naïf che Manzato è idolatrato nel serenissimo contado e tenuto d’occhio dai vertici lombardi del Carroccio. Forte della laurea in filosofia a Ca’ Foscari con una tesi avente per argomento i linguaggi della violenza nella politica del Novecento studiati da Jean-Pierre Faye (lo scrittore francese che fu arrestato dalla Wehrmacht come «terrorista russo» perché aveva fra le mani gli scritti di Aristotele sulla virtù) e del master in business administration conseguito al Politecnico di Milano, il politico opitergino è riuscito in un’impresa che fino a ieri sembrava inconcepibile per un partito ruspante e spontaneista: ha fondato la prima scuola per i quadri dirigenti della Lega, aperta anche ai non iscritti, affidata a docenti universitari e talmente rinomata che da quest’anno ha dovuto istituire il numero chiuso, 400 allievi, sulle 600 domande d’iscrizione pervenute.
Fosse entrato nella Lega un mese fa, Manzato avrebbe frequentato questa scuola? Difficile a dirsi. Lui, terzo dei cinque figli di Orfeo, operaio alla Tonon (caldaie e piastre) di Oderzo, e di Maria, casalinga, come la maggioranza dei leghisti ha avuto per maestri Pietro Zanatta, fabbro specializzato nei cancelli in ferro battuto, e Silvano Sartori, barbiere, soprannominati il Gatto e la Volpe di Ormelle, dal luogo di residenza. Correva l’anno 1983 quando Zanatta vide sui muri un manifesto della Liga veneta e chiamò il numero di telefono riportato in calce: gli rispose Franco Rocchetta. Alle elezioni politiche di quell’anno la Liga prese 130.000 voti ed elesse due parlamentari, mentre Umberto Bossi, candidato nella circoscrizione Varese-Como-Sondrio, ottenne appena 157 preferenze.
«In cinque o sei amici, tutti col virus dell’antistatalismo, ci rivolgemmo a Zanatta e Sartori per capirne di più», ricorda Manzato, «e loro al primo incontro ci misero in mano secchio e pennello. Lezione numero 1: come si fa la colla. Un etto di soda caustica e un chilo di farina ogni 30 litri d’acqua. Tappezzavamo di manifesti muri e cavalcavia da Portogruaro a Treviso. I giornali si chiedevano: “Ma quanti sono?”. Eravamo in quattro. Partivamo alle 22 e tornavamo a casa all’alba. Due ore di sonno e poi in fabbrica». Già, perché il filosofo Manzato, anzi l’ideologo Manzato, a quel tempo era magazziniere alla Fabrizio ingegner Plinio Spa, ingrosso di casalinghi e ferramenta a Oderzo. Ci rimase per otto anni. Operaio di giorno, studente di sera, attacchino abusivo di notte.
Ma è vero che per pagarsi l’università ha fatto anche l’artista di strada?
«Be’, non proprio. Ho studiato recitazione al Teatro a l’Avogaria di Venezia per due anni e ho avuto una particina nella Betìa del Ruzante che il regista Gianfranco De Bosio portava in giro per l’Italia. Ho lavorato anche con Maurizio Scaparro».
Poi è stato scritturato da Bossi.
«Il primo incontro fu nel 1993. Ero uno dei tanti che si dava da fare per l’elezione di Bepi Covre a sindaco di Oderzo. Ricordo ancora la raccomandazione del Senatùr: “Mai tradire il popolo, stare sempre con la gente”».
Nel 2002 è diventato capogruppo della Lega Nord in Veneto, subentrando a Flavio Tosi, oggi sindaco di Verona.
«Un suggerimento di Gobbo accolto da Bossi. L’intesa fra i due è perfetta. Il Senatùr sa che è stato Gobbo a ricostruire la Liga veneta distrutta da Fabrizio Comencini».
Poi vicepresidente del Veneto. Ma non andava d’accordo con Giancarlo Galan.
«Il governatore e io abbiamo avuto scontri frontali quando il Comune bellunese di Lamon chiese di passare col Trentino Alto Adige. Lui difendeva l’integrità territoriale. Per me le angustie economiche di chi coltiva fagioli a Lamon erano e restano un motivo più che sufficiente per andarsene dal Veneto. Galan ritiene che le Regioni a statuto speciale siano anacronistiche. Io invece penso che lo siano quelle a statuto ordinario».
Perché?
«Perché non hanno l’autonomia finanziaria per fare una politica espansiva abbassando le tasse. Io voglio invece che il Veneto possa diventare come il Canton Ticino, dove l’Iva è al 7,6% anziché al 20% e addirittura scende al 2,4% per il commercio al dettaglio».
Utopia pura.
«Non direi. La Baviera sta facendo lo stesso. Ma lo vogliamo capire sì o no che il sistema nazionale non ha più senso? I professori Gianfranco Lizza e Carmelo Formica, docenti di geografia economica alla Sapienza di Roma e alla Federico II di Napoli, hanno individuato le aree che trainano l’economia europea: oltre alla Baviera, sono la zona carbonifera del Belgio, la Slesia, la Sassonia, il Sud della Scandinavia, il centro della Francia, i Paesi Bassi, le Asturie e la regione padano-veneta. Come fanno le imprese del Veneto a competere con la concorrenza cinese o indiana finché resta questa fiscalità?».
Urge il federalismo fiscale.
«Federalismo viene dal latino fœdus, patto, alleanza. Come interpreto questo patto, è presto detto: vogliamo trattenerci gran parte delle risorse che produciamo. Mica per altro: l’unico modo per salvare l’Italia è permettere alla locomotiva Veneto di continuare a trainare i carri frenati. Se ci fermiamo noi, non ce n’è più per nessuno. Che cosa insegnano hostess e steward ai passeggeri appena saliti a bordo degli aerei? In caso d’avaria, i primi a mettere sulla bocca la mascherina dell’ossigeno sono gli adulti, perché solo così riusciranno a salvare i bambini. Il Nord è strangolato dalla pressione fiscale, non arriva a fine mese. Ma se viene soffocato il Nord, il Sud annega».
Il governatore Luca Zaia vagheggia il cantone Veneto, sull’esempio della Catalogna.
«Più che giusto. È una geografia variabile prevista dalla Costituzione repubblicana, articolo 116. Ciò che va bene per il Veneto va bene per l’Italia».
È questo che insegna alla scuola quadri della Lega?
«Intanto io non insegno. Ci affidiamo a professori indipendenti. In passato abbiamo avuto Mario Bertolissi, Adalberto Perulli, Ferruccio Bresolin, Giovanni Sala e Silvio Fagiolo, ex ambasciatore d’Italia a Berlino. Quest’anno ci saranno Sandro De Nardi, docente di diritto costituzionale a Padova, con Luca Brusati e Paolo Fedele, docenti di economia aziendale all’Università di Udine, e Gian Angelo Bellati, direttore dell’Unioncamere veneta. Niente lezioni di parlamentari o militanti leghisti, niente politica: quella compete solo a Bossi. La nostra è una scuola tecnica».
E a che serve?
«A formare nuove leve per le cariche elettive. Sono già un centinaio gli ex allievi promossi a posti di responsabilità. Fra questi, due parlamentari, la rodigina Emanuela Munerato e il veneziano Gianluca Forcolin, tre sindaci, due consiglieri regionali, vicepresidenti e assessori provinciali. Ma la formazione non basta. Devono anche darsi da fare con le affissioni, i gazebo, il volantinaggio».
Le scuole di partito, da quella della Dc alla Camilluccia a quella del Pci alle Frattocchie, hanno tutte chiuso i battenti e lei va a riaprirne una. Curioso.
«La nostra è flessibile e rapida, non ha bisogno di stipendiare dirigenti. Comincia il 25 settembre e il 30 ottobre è già finita».
Ma Renzo Bossi, che con i suoi 21 anni e 6 mesi è stato il più giovane consigliere regionale d’Italia eletto nell’ultima tornata, l’avrà frequentata una scuola di formazione?
«Penso proprio di sì. E se non l’ha frequentata, è lo stesso: stando vicino al padre non ha certo bisogno di lezioni».
Fa studiare anche l’arabo ai suoi allievi?
«No’ disemo monade».
Lei perché lo studia? Per prepararsi a una nuova battaglia di Lepanto?
«Ho cominciato tre anni fa, privatamente, col professor Marco Golfetto, che lo insegna alla facoltà di lingue orientali di Ca’ Foscari, perché voglio promuovere i prodotti veneti nei Paesi islamici».
Questa è la prima regione d’Italia per la produzione di vino. Se va a dire ai viticoltori che studia l’arabo e quelli si ricordano che il Corano vieta gli alcolici, la sua carriera è finita.
«Anzi, è appena cominciata. Nel Golfo Persico già vendiamo il vino senz’alcol».
Non male come ossimoro.
«Non sto scherzando. È una bevanda ottenuta dall’uva glera, microfiltrata per privarla dei componenti che farebbero avviare la fermentazione alcolica. La produttrice Isabella Spagnolo, titolare col marito Loris Casonato di una cantina a Mareno di Piave, avrebbe voluto chiamarla Prosucco, nel senso di succo d’uva, ma il Consorzio di tutela del Prosecco Doc è giustamente insorto. Per cui le ho suggerito di chiamarla Isabella ice. L’abbiamo presentata a Dubai, negli Emirati arabi. Un successone. Adesso stiamo pensando di esportare ad Abu Dhabi, nel Quatar e nel Barhein l’olio d’oliva del Garda, i radicchi di Treviso, Verona, Chioggia e Castelfranco, gli asparagi di Bassano del Grappa, Cimadolmo, Badoere, Bibione e Pernumia. E poi i formaggi, dall’Asiago al Morlacco».
Il Corano l’ha letto tutto?
«Sì, ma in italiano».
E il semestrale Oasis fondato dal cardinale Angelo Scola e stampato, oltre che in italiano, inglese e francese, anche in arabo e urdu, lo legge?
«Non credo che serva ad aumentare la nostra identità cristiano-cattolica».
Il patriarca di Venezia sostiene che il «meticciato di civiltà» è un segno della provvidenza: «Se un simile processo è in atto, significa che esprime la volontà di Dio», mi ha detto.
«Ha ragione. Però il politico ha un compito diverso da quello del prete e deve tener conto della quotidianità. Non basta integrare: serve rispetto anche per la popolazione locale. Se la gente si lamenta degli extracomunitari, vuol dire che il meticciamento avviene troppo rapidamente. Ma non si butti per questo la croce sulla leghista Treviso, che in fin dei conti è la prima provincia del Veneto per numero di immigrati: 96.000, pari a un quinto della presenza totale nella regione. Più accoglienza di così!».
In Veneto la Lega è già arrivata al 35%. Crescerà ancora, secondo lei?
«Se andiamo a elezioni anticipate, arriva al 38-40. Il 75% dei veneti ci chiedeva di governare, non solo di protestare, ed è quello che abbiamo fatto: oggi amministriamo 4 Province e 120 Comuni. Nel frattempo a Roma si trastullano con le dissertazioni sulla riforma elettorale».
Ma i giovani leghisti hanno ancora voglia di fare i contadini oppure sognano le mezze maniche come tutti i loro coetanei d’Italia?
«È aumentata anche nel Nordest la predisposizione al posto fisso e allo stipendio garantito: un fenomeno negativo. Però quando col piano di sviluppo rurale abbiamo messo a disposizione 1 miliardo e 100 milioni di euro dal 2007 al 2013, sono subito raddoppiate le domande dei giovani pronti a scommettere sui campi».
Perché ce l’ha a morte con gli Ogm?
«Non ce l’ho a morte con gli Ogm. Difendo semplicemente i 450 prodotti tipici del Veneto, la decima parte di quelli del sistema Italia, per i quali gli agricoltori hanno investito fior di miliardi nei disciplinari, nei marchi Dop, nella biodiversità. Una nostra indagine ha accertato che il 75% dei consumatori è disposto a pagare di più prodotti che siano territoriali, di qualità e non Ogm».
L’Espresso l’ha citata fra i nuovi «ecologisti padani». I verdi dei verdi.
«Come Alfonso Pecoraro Scanio? Meglio di no».
S’è anche dichiarato «contrario nella maniera più assoluta alle estrazioni di gas nell’Alto Adriatico». È pronto a passare il prossimo inverno al freddo?
«Mai sentito parlare della subsidenza? Le estrazioni provocano un abbassamento dei fondali marini. Non voglio che sprofondi Venezia. Il bacino lagunare s’è già ridotto di 20 centimetri rispetto a un secolo fa, contro i 2 che erano ipotizzabili. In tal modo l’acqua dell’Adriatico entra nei fiumi, ammazzando flora e fauna. Chiedono di estrarre il gas? Mi spieghino prima come salveranno il territorio. Non è tutto mercato, a questo mondo».
(511. Continua)
stefano.

lorenzetto@ilgiornale.it

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