Cronache

«Finalmente a Genova ...e mi sudano le mani»

«Finalmente a Genova ...e mi sudano le mani»

Nel nome del padre. E Fabrizio De André torna sul palcoscenico nel modo che avrebbe preferito, nella sua città, con le sue canzoni e con la voce di suo figlio Cristiano.
Il 20 novembre prossimo sarai in concerto, al Vaillant Palace, nella tua città natale. Emozionato?
«Si, è un'emozione intensa, più forte rispetto ai concerti tenuti nelle altre città, nonostante io abbia portato il mio tour in giro per tutta l'estate con oltre 40 tappe. Come succedeva a mio padre a cui iniziavano a sudare le mani quando si esibiva a Genova».
Perché?
«Perché sono finalmente a casa, avrei voluto farlo prima, ma per poter finire l'album legato alla tournée dovuto rimandare».
Che accoglienza ti aspetti in casa tua?
«I genovesi sono ostici, attenti, un po' inglesi, non ti regalano niente. Spero di fargli arrivare attraverso le mie corde il racconto di mio padre».
È il primo tour in cui proponi l'opera, seppur rivisitata, di tuo padre.
«Mi sono avvicinato con molto pudore al repertorio di mio padre, non mi ero mai confrontato con le sue canzoni».
Paura di non essere altezza?
«Il problema non è questo, mi è piaciuta l'idea di riproporre testi e melodie secondo la mia interpretazione che certamente è più rock. Mio padre mi ha lasciato un'eredità artistica di meravigliose poesie che io posso trasformare in base a me, cambiargli il vestito, per farle ascoltare a chi finora non le ha sentite. In questo modo ripercorro anche il periodo più vivo del rapporto, dal punto di vista musicale con mio padre».
È per un desiderio di tenere vivo il ricordo di Faber, sotto ogni punto di vista, che è nata l'idea del tour?
«In realtà l'idea è del mio manager, che mi aveva fatto la proposta già anni fa, ma allora non mi sentivo pronto».
Parlaci del concerto.
«I brani che porto sul palco sono venti canzoni che ho scelto in base agli arrangiamenti. Da questo tour sarà pubblicato un album e un video di prossima uscita».
Cristiano, sarà banale, ma come non chiederti un aneddoto su tuo padre.
«Papà aveva tante manie, tante fisime, tante passioni. Amava la terra, e ricordo che a Savignone, qui vicino, comprò una casa con un grande orto. Lo coltivò tutto a peperoni che in quella zona non crescono. Quando finalmente ne spuntò uno, io, che avevo 5 anni, gli diedi un morso. Papà vide frustrato il suo entusiasmo e cercò disperatamente di capire quale insetto fosse stato. Poi, ebbe come una folgorazione: "Cristiano sei stato tu?" mi chiese, se non mi picchi te lo dico gli risposi, naturalmente quella era già una risposta e lui inizio a rincorrermi per tutto l'orto. Me la cavai con un rimbrotto».
Passione e manie, forse anche queste dimostrano tutta l'inquietudine di Faber?
«Si, e "Amico fragile" è una sorta di canzone specchio. Amico fragile è mio padre stesso, ma io lo scoperto solo all'ultimo quando l'intimo di papà mi si è rivelato frequentandolo più assiduamente durante il tour nel quale l’ho accompagnato».
Si sentiva il peso del mondo addosso?
«Mi disse d'aver sempre scritto perché sentiva di doverlo fare ed era il suo modo di combattere le ingiustizie. Ma lo coglieva un senso di impotenza e di frustrazione quando mi diceva che nonostante tutto nulla era cambiato. Oggi vorrei dirgli che non è così, che quanto ha scritto è ascoltato. Gli direi "papà ti sei sbagliato"»
Da Fabrizio a Cristiano, da Cristano a...?
«Alice, che dei miei quattro figli è quella che canta e suona il piano. È nel video del tour e mi piacerebbe che potesse raccontare una storia simile alla mia. Parlo di quando una sera a cena da mio papà gli feci sentire una musica che avevo in testa e lui alle 5 del mattino mi tiro giù dal letto dicendomi "ho scritto il testo". Così nacque "Cose che dimentico", dedicata ad un nostro amico morto di Aids, uno del girone degli invisibili, degli intoccabili.

La sola canzone che porta la mia e la sua firma».

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