Economia

La finanza islamica non conosce crisi: opportunità o suicidio per l'Europa?

Il mercato globale della finanza islamica vale 1,7 trilioni di dollari. Negli ultimi quattro anni è cresciuto del 18%. Perché la finanza occidentale si sta piegando al radicalismo islamico?

La finanza islamica non conosce crisi: opportunità o suicidio per l'Europa?

Mentre le coste del Vecchio Continente sono sempre più l'ultimo approdo per centinaia di migliaia di immigrati, che vanno a ingrossare le fila dei disperati messi in ginocchio dalla crisi economica, la finanza europea viene invasa da milioni di dollari dei paesi musulmani. Nel 2007 il governo britannico fu tra i primi nell'Unione europea a studiare un quadro legislativo per incoraggiare lo sviluppo della finanza islamica. "Il sistema fiscale e i regolamenti devono incoraggiare lo sviluppo di prodotti conformi alla sharia - spiegava l'allora segretario al Tesoro, Ed Balls - in modo da fare del Regno Unito un centro mondiale della finanza islamica". Oggi l'Inghilterra è il polo di maggiore attrazione a livello europeo. A Londra sono già sei le banche islamiche e il Tesoro britannico ha annunciato l'emissione dei primi sukuk (gli equivalenti delle nostre obbligazioni) per un valore di circa 200 milioni di sterline.

Nel 2013 Londra ha ospitato la nona edizione del World Islamic economic forum. Parteciperanno oltre 1800 politici ed esponenti del mondo della finanza sotto l’egida del premier David Cameron che vuole fare della capitale britannica un hub degli investimenti sharia compliant potenziandone l’offerta già proposta da oltre venti istituti in tutto il Paese. Tanto che il London Stock Exchange sta studiando un indice islamico che accorpi tutte le possibilità di investimento. Londra è sicuramente all'avanguardia, ma l'attenzione sta crescendo in tutta Europa. Con il Lussemburgo che rappresenta l'8% della finanza islamica globale e l'Irlanda che rappresenta il 7%. Nel 2008 proprio in Lussemburgo è stata costituita una task force ad hoc per identificare gli ostacoli allo sviluppo della finanza islamica. Secondo uno studio presentato a Milano dallo studio legale Nctm in occasione della tavola rotonda Islamic Finance: an option to boost the Italian Economy, il mercato globale degli asset della finanza islamica vale circa 1,7 trilioni di dollari. Negli ultimi quattro anni è cresciuto del 18%. Alla fine del 2014 si prevede raggiungerà quota 2 trilioni di dollari e nel 2020 gli asset della finanza islamica potrebbero valere 6,5 trilioni. Una crescita a dir poco fenomenale rispetto a quella dei Paesi tradizionali.

La finanza islamica si basa su alcune interpretazioni del Corano. Pertanto i suoi prodotti devono essere adatti e aderenti ai dettami della sharia: non si possono ottenere interessi sui prestiti; gli investimenti devono essere socialmente responsabili; i rischi e i profitti devono essere equamente condivisi tra debitore e creditore. Da quando hanno iniziato a essere aperte, le banche islamiche sono costantemente cresciute del 10-15% all'anno, circa il doppio del tasso di crescita delle attività convenzionali. Anche i ricavi sono cresciuti con un ritmo velocissimo: +44% all'anno. "Gli istituti finanziari islamici - sottolineano gli esperti - hanno profitti come quelli tradizionali, ma hanno anche gli stessi rischi". Secondo i dati dell’Islamic financial sharia board dello scorso 24 ottobre, i 671 fondi disponibili a livello globale gestiscono 1.600 miliardi di dollari circa in asset. Un impero che potrebbe lievitare a 5 miliardi entro il 2020.

In Italia la possibilità di intercettare questi capitali e  attivare le conseguenti opportunità è pressoché nulla. Manca, innanzitutto, la previsione di strumenti finanziari che si adeguino alla legge islamica e al momento non ci sono proposte di legge che vadano in questa direzione. "A livello europeo - spiegano gli esperti - non c'è un approccio comune alla finanza islamica, ognuno gioca per sé e, a livello centrale, si dibatte poco anche perché l'islam è diverso in tutto il mondo". Qualche mese fa lo stesso Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, aveva invitato gli istituti nostrani ad attrarre capitali stranieri interagendo con quei sistemi che obbediscono ai principi della finanza islamica.

Sebbene siano tutti concordi nell'incensare le opportunità di investimento, qualcosa proprio non torna. Perché la sregolata finanza occidentale dovrebbe piegarsi al diktat del radicalismo islamico?

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