La fine del Partito comunista e il terremoto di Tangentopoli

di Il settennato di Francesco Cossiga, anticomunista doc, assistette al crollo dell'Unione Sovietica e del comunismo, alla fine degli anni Ottanta. Ma in Italia si procedeva con il piccolo cabotaggio politico. Nell'estate del 1986, la Dc obbligò Craxi alla «staffetta», che nel 1987 porterà a elezioni anticipate e ai governi della sinistra democristiana, guidata da Ciriaco De Mita. Il segretario democristiano era favorevole al vecchio progetto di alleanza con i comunisti, e Craxi sfruttò il malcontento di diversi settori della Dc formando un'alleanza, nel maggio 1989, con Giulio Andreotti e Arnaldo Forlani: sembrava, ma gli italiani non se ne resero conto, una riedizione rissosa e lugubre dei vecchi triumvirati che avevano provocato la crisi della Res Publica Romana.
Il cosiddetto «Caf», acronimo di Craxi, Andreotti, Forlani, era un patto finalizzato solo a perpetuare l'agonia del sistema, mentre il malessere degli italiani, già visibile nelle elezioni europee del 1989, si esprimeva nella protesta e nell'alternativa di nuovi movimenti, come quello leghista, quello verde e quello referendario unito intorno alla figura di un democristiano atipico come Mario Segni.
Proprio l'esito del referendum del giugno 1991, che intendeva abrogare la preferenza unica per la Camera dei deputati, rappresentò il segnale d'allarme per tutta la classe politica al governo: il quorum fu raggiunto e stravinsero i «sì», mentre Craxi - con tracotanza - aveva invitato gli elettori a «andare al mare» e disertare in massa le urne.
L'anno dopo, le elezioni politiche furono la pietra tombale del «Caf»: i comunisti non avevano più un partito di riferimento unico, dopo che, nel novembre del 1990, l'ultimo segretario del Pci, Achille Occhetto, aveva annunciato che il partito si sarebbe chiamato Partito democratico della sinistra, provocando la nascita di Rifondazione comunista. Il Psi fu intaccato meno della Dc e degli altri alleati, ma ciò che non fecero (del tutto) gli italiani e il crollo del comunismo, lo fece (del tutto) la magistratura: molti partiti protagonisti della politica nazionale furono praticamente cancellati di colpo dalla rivoluzione giudiziaria del pool milanese di Mani Pulite, di cui diventerà protagonista Antonio Di Pietro.
«Tangentopoli», come venne chiamata, fu scoperta ufficialmente il 17 febbraio 1992, con l'arresto, per una tangente, del socialista milanese Mario Chiesa. Del sistema tangentizio socialista si parlava da anni, ma Craxi continuò a negarlo, definendo Chiesa un «mariolo» e «una scheggia impazzita». Usando il carcere per ottenere confessioni (mentre molti indagati si suicidavano), i magistrati riusciranno a smantellare il sistema politico di centrosinistra.
Le elezioni dell'aprile 1992 videro crescere l'astensione e l'indifferenza degli italiani verso la politica, incapace di rinnovarsi malgrado tutto. La Dc passò dal 34,3 al 29,6 per cento; le sinistre persero quasi un quarto dei voti, mentre socialisti e partiti minori resistettero, per il momento, all'urto. Spirava sempre più forte il vento dell'antipolitica e della ribellione localistica, i cui vessilli - dell'una e dell'altra battaglia - furono agitati con successo dalla Lega di Umberto Bossi a nord e da La Rete di Leoluca Orlando al sud, che ottennero un vistoso successo. Uscirono indenni e anzi rafforzati dal repulisti della magistratura i missini, i cui voti erano però inutilizzabili, e Marco Pannella, inadeguato a raccogliere intorno alla sua figura, certo carismatica ma egocentrica e compiaciuta, un consenso più ampio di quello raccolto tra i radicali.
Nel nuovo parlamento il quadripartito - Dc, Psi, Psdi, Pli - conservava la maggioranza assoluta dei seggi, ma subito dopo le elezioni molti industriali e politici furono arrestati con l'accusa di corruzione, indebolendolo gravemente. Si era ormai all'agonia della «Prima Repubblica».
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