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Fini ha perso la testa Napolitano intervenga

Il presidente della Camera, nella sua veste di leader di partito, ha accusato il premier di corrompere i parlamentari. Se non è strappo istituzionale questo

Fini ha perso la testa 
Napolitano intervenga

Presidente Napolitano, adesso lo strappo istituzionale c’è, molto grave e sotto gli occhi di tutti. Il presidente della Camera, terza carica dello Stato, ha accusato il presidente del Consiglio di corrompere deputati e senatori per modificare le loro idee politiche. Lo ha fatto per difendere gli interessi di suo fratello gemello, Gianfranco Fini, leader di Futuro e Libertà. E badi bene: non lo ha accusato in uno scatto d’ira, ma con un articolo meditato e scritto sul Secolo d’Italia. Naturalmente, senza citare nomi, circostanze, modalità, costi delle presunte corruzioni. Converrà con me che, pur con l’artifizio del fratello gemello, il fatto è incredibile.

Figuriamoci se il presidente della Camera e il leader di Futuro e Libertà sono la stessa persona. E mi fermo qui con il paradosso, altrimenti finiamo in quei simpatici scambi di persona tipici di Montecarlo. Stavolta non si tratta di una gag, sembra al contrario una pessima risposta al Suo appello contro il rischio gravissimo negli scontri tra istituzioni dello Stato. Perché Lei, ovviamente, si riferiva a tutte le istituzioni, non soltanto a Berlusconi. E allora la posizione del presidente della Camera sembra proprio una provocazione. Come dire, chissenefrega del Quirinale.

Stia tranquillo, presidente, io non voglio criticarla, neppure in modo artificioso, né tirarla per la giacca e chiederle una censura, come suggerisce il mio amico Giuliano Ferrara. Lui, secondo il quotidiano di De Benedetti, è un pezzo grosso del Sistema Delta, che tiene in scacco il Paese come la Spectre dei film di Bond. A me non hanno chiesto di farne parte, si immagini che l’ultima congrega di giornalisti di cui ho fatto parte si chiamava «la cena dei cretini» e si riuniva una volta al mese nei ristoranti di Milano, sostanzialmente per farsi due risate. Non mi permetto dunque di dare consigli.

Quel che Lei ha detto, ha detto. Quello che Fini ha fatto lo possono giudicare tutti.
Invece, La chiamo a testimone di quella che a me pare la più grave violazione del ruolo istituzionale. Come presidente della Camera, Fini ha accusato senza prove dei parlamentari di corruzione per aver cambiato idea. Non è la prima volta che commette uno scempio di questo genere, lo fece anche il 14 dicembre, per il voto di fiducia. Quando si formò Futuro e Libertà, Fini fu il paladino dello sganciamento dei parlamentari dal vincolo di mandato. Respinse con sdegno l’accusa di tradimento , per aver cambiato opinione dopo essere stati eletti in lista con Berlusconi. Poi insulta i suoi dissidenti definendoli corrompibili e forse corrotti. Mi sembra evidente l’incompatibilità tra la carica di presidente della Camera e quello di leader di un gruppo attraversato da crisi e scontri interni. Non garantisce equilibrio e visione istituzionale, se continua a tenere a ogni costo il doppio ruolo rischia di degradare la terza carica dello Stato, come hanno osservato anche intellettuali della sua area, che si sono allontanati prima dei parlamentari.

Lei, che è stato un fior di presidente della Camera, sa bene che bisogna difendere il Parlamento da qualsiasi attacco, altro che diffamare i deputati dallo scranno più alto. Per questa violazione, Fini dovrebbe dimettersi e dedicarsi esclusivamente alla lotta politica. Anche se i nervi saldi servono anche in quel caso.
Ci tenevo a rivolgere queste righe a Lei, che ricordo ancora leggere in aula la l’ultima lettera del deputato socialista Moroni, suicida per l’inchiesta Mani Pulite. Volevano rimuovere in fretta la sua morte. Ha provato vergogna per le sue colpe, dissero i magistrati della Procura di Milano. Lei non permise rimozioni e difese in Parlamento la dignità dell’uomo e le ragioni del deputato. A quel tempo, dirigevo Il Giorno e titolai «Mani pulite, vite spezzate» e la ringraziai nel cuore per il suo coraggio. Ora, rinnovo la gratitudine in pubblico.

Altri tempi, altri presidenti.

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