Cultura e Spettacoli

Fischi a Medusa E Capanna critica Pasolini

VeneziaMichele Placido non voleva venire a Venezia con Il grande sogno. Troppo fresco il ricordo di Ovunque sei, stroncato e sbeffeggiato. «Sì, avevo dei timori umani, paura. Invece è stato accolto con rispetto», confessa, al culmine di una giornata movimentata, caotica, pure un po’ sessantottina. Non è neppure cominciata la conferenza stampa delle 13 e già partono i fischi. Carlo Rossella, presidente di Medusa, si dilunga nell’elogio. «Ho fatto il 68, oggi faccio un’altra vita, forse una terza. Questo è un film politico e anche sul personale. Del resto, allora il personale era politico». I giornalisti scalpitano, vogliono Placido: e lui, capelli e baffi candidi, non si smentisce. L’uomo è appassionato, generoso, irruente, contraddittorio. Come saprete dedica il film all’ex direttore di Avvenire, maltratta (chiederà scusa) una cronista spagnola che vorrebbe sapere perché ce l’ha tanto con Berlusconi e si fa produrre da Medusa.
Ma tutto l’incontro è all’insegna dello show, magari involontario. Mario Capanna, espertone 68 & affini, viene invitato al tavolo. «Trovo il film di pulita trasparenza, proprio perché non è politico», recensisce. Poi se la prende con Pasolini per la celebre invettiva in difesa dei poliziotti proletari contro gli studenti borghesi di Valle Giulia. «Disse una cazzata, capita anche ai grandi poeti». Placido annuisce. Salito dalla Puglia dopo aver militato nel Fuan, era uno di quei celerini. «Pasolini sbagliava, perché quei ragazzi che io manganellavo dopo mi hanno insegnato a vedere il mondo con occhi diversi». E qui arriva la confessione: «Se nel 1973 rifiutai di girare L’anatra all’arancia per fare teatro a Siracusa, be’ lo devo a quella lotta, a quei pensieri, a quei piccoli maestri». Questione di coerenza, insomma. «Credo che su uno ha un ideale, se lo porta dietro per tutta la vita. Vale anche per chi ha scelto la lotta armata. Non dico che sia degno di rispetto, ma bisogna comprendere perché un uomo abbia bruciato così la sua vita». E cita Curcio.
Il terreno si fa scivoloso. Ma Placido ormai è caldo. A indicare il disimpegno imperante, dice che «si fanno troppe commedie». «Bisogna protestare. Questo governo non vuole dare i soldi ai giovani cineasti che intendono raccontare l’Italia di oggi». Gli chiedono un parere sulla sinistra, cui pure appartiene. Lui, zac, spiazza di nuovo l’uditorio: «Sono più tentato di lavorare con Casini. Vorrei un forte centro democristiano, che guardi a sinistra, diciamo un grosso partito popolare cattolico capace di sfidare il governo». Trasecola l’inviata dell’Unità. Naturalmente il regista si augura che il film sia visto dai giovani, perché inventino nuovi grandi sogni. E quelli della sua generazione? «Non piacerà ai Ferrara e a tanti ex sessantottini. Perché racconta il loro fallimento. Erano capi della sinistra, oggi lavorano in giornali di destra o nelle tv di Berlusconi».

Matematico.

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