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Foto dall'Heysel: il calcetto, la corsa al telefono e le banane di Edoardo Agnelli

Sono i tre incredibili ricordi ancora nitidi del vecchio cronista presente nel maggio di quell'anno, con una carovana di colleghi, nella tribuna stampa di quel maledetto stadio belga dove avvenne la tragica fine dei 39 tifosi della Juventus.

Per una circostanza unica, è consentito un ricordo personale. La ricorrenza della tragedia dell'Heysel è una delle esperienze che hanno marchiato la mia vita professionale di giovane cronista, in giro per l'Europa, sulle tracce di una qualche coppa. In quel maggio, lavoravo al Corriere dello Sport diretto da Giorgio Tosatti ed ero stato incaricato di seguire la Juve in Belgio per setacciare alberghi e ristoranti e riferire della presenza di operatori di calcio-mercato. Il capo della spedizione era Giuseppe Pistilli, vice-direttore e prima firma del quotidiano sportivo, un delizioso compagno di ventura, capace di guidare la squadra col tratto di un vero allenatore di calcio. Enrico Maida (oggi al Messaggero), Fabio Monti (oggi al Corriere della Sera), Enzo D'Orsi (oggi a Leggo), Luca Argentieri (purtroppo scomparsi, all'epoca inviato al seguito del Liverpool) erano gli altri componenti del drappello.

Quando cominciammo a fare i conti con gli assalti degli hooligan's alla famigerata curva z, Pistilli divise i compiti tra noi e lasciammo la tribuna-stampa mentre lui teneva il collegamento con Roma, sede centrale del giornale. Tre sono le istantanee che mi sono rimaste impresse e che non riesco a cancellare dalla memoria personale. La prima: appena i tifosi juventini incolumi vennero sbalzati fuori dal macabro recinto, molti si radunarono sul prato verde dello stadio, alcuni di loro, inconsapevoli forse della tragedia, tirarono fuori una palletta di gomma e cominciarono a improvvisare una sfida di calcetto. Vennero ricacciati indietro da poliziotti a cavallo.

La seconda: in compagnia di un collega del Corsera dell'epoca, Nicola Forcignanò, riuscimmo a introdurci nello spogliatoio della Juventus. Erano saltati tutti i controlli, i gendarmi erano tutti dentro l'ovale dell'Heysel, e non c'erano notizie certe sulle decisioni dell'Uefa. Ci venne incontro Edoardo Agnelli, il figlio dell'Avvocato in arrivo da Milano su un volo privato in compagnia del direttore del Corriere dello Sera, Piero Ostellino. Era vestito con un completo gessato di flanella: sudava oltre che per il peso invernale del vestito anche per il clima dentro lo spogliatoio. Ci anticipò la decisione dell'Uefa («vogliono far disputare la partita, tra un po' manderemo Scirea a parlare con il pubblico») e ci spiegò quale fosse in quel momento l'emergenza nello stanzone della Juve. «La squadra ha fame, non mangia da molte ore e non abbiamo neanche un panino a disposizione. Abbiamo mandato in città il magazziniere ad acquistare delle banane».

La terza: con i cadaveri impilati dinanzi all'ingresso esterno della tribuna stampa, molti spettatori italiani si riversarono sulle nostre postazioni chiedendoci di poter utilizzare il telefono (non c'erano i cellulari) per chiamare casa e tranquillizzare le rispettive famiglie. Le uniche notizie erano all'epoca dettate dal telecronista Rai, Bruno Pizzul, costretto a fornire l'aggiornamento del numero delle vittime senza poter fornire l'identità. Pistilli passò la cornetta senza fiatare. Come Dio volle, riuscimmo a dettare a braccio i servizi.

A notte fonda, tornammo in albergo senza scambiarci una sola parola di commento. Pistilli ci diede il compito del giorno dopo: "Monti resta a Bruxelles, Ordine va a Torino, Maida rientra a Roma con me, Argentieri segue il Liverpool".

Sono passati 25 anni, spesso ci siamo rivisti tutti insieme a cena, la sera, dopo una proficua e spensierata giornata di lavoro: forse è venuto il momento di ripensare a quelle ore e a quel ragazzo pieno di talento, Luca Argentieri, che non c'è più.

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