Roma

Francesco Clemente tra archetipi e storie evangeliche

Silvia Castello

«La nuova mostra di Francesco Clemente al MAXXI, si inserisce coerentemente nell’attività istituzionale del museo nell’ambito della promozione, valorizzazione e documentazione delle migliori espressioni artistiche della contemporaneità» dichiara Pio Baldi - Direttore generale della Darc - durante la presentazione dell’evento, visibile fino al 30 aprile. L’esposizione - a cura di Paolo Colombo - propone «Tandoori Satori»: una serie di dodici grandi tele - realizzata tra il 2003 e il 2005 - e «Valentine’s Keys»: quattordici inediti pastelli su carta eseguiti a sanguigna e colore nero. Protagonista carismatico della Transavanguardia, Francesco Clemente approda alla ribalta del jet set internazionale dell’arte a New York, negli anni Ottanta - dopo la partecipazione alla XXXIX Biennale di Venezia con Kiefer, Salle e Cucchi - diventando presto uno tra i maggiori artisti contemporanei con esposizioni in musei e gallerie tra Europa e Stati Uniti: collabora anche con Warhol e Basquiat con i quali realizzerà diverse opere, e intreccia una fitta rete di relazioni con poeti come Gregory Corso, Allen Ginsberg e Robert Creeley; divenendo poi membro della prestigiosa Accademia americana di arti e lettere. Successivamente continuerà a vivere e lavorare tra New York (dove risiede tuttora), India e Italia. In equilibrio tra mito e logos, Francesco Clemente (Napoli, 1952) ha sempre creato le sue opere nel segno inconfondibile della figurazione neo-espressionista, con un particolare interesse rivolto a temi «legati alla spiritualità, al corpo umano e alla sua sublimazione attraverso la sessualità». È un processo di individuazione che si inserisce nell’estetica junghiana, e in cui l’iconografia induista - approfondita durante lunghi soggiorni a Madras - diverrà metafora prediletta della sua arte allucinata e grandiosa. «L’opera di Clemente non va comunque interpretata come l’illustrazione di pensieri ispirati a una mitologia orientale, ma invece guardata nel suo voler essere espressione plastica di quegli archetipi cui tutte le culture, e tra queste anche quella indiana, fanno costante riferimento» spiega il curatore.

Scorrono così, dopo i quadri della serie «Tandoori Satori» - come «Cosmogony», «Sunyata», «Meaning of two» - anche le scene rappresentate nelle recentissime sanguigne di «Valentine’s keys», che rievocano gli episodi delle parabole cristiane apocrife e rinnovano le passate ricerche dell’autore nell’ambito della spiritualità occidentale.

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