Economia

Frutta e verdura, motore dell'agroalimentare italiano

Unaproa fotografa il momento del settore ortofrutticolo: 491mila imprese per oltre un milione di ettari coltivati e una produzione superiore ai 12,8 miliardi. Il consumo pro-capite di frutta e verdura diminuito di 18 kg annui rispetto al 2000. Nell'export paghiamo un prezzo pesante all'embargo russo.

Frutta e verdura, motore dell'agroalimentare italiano

Il settore ortofrutticolo continua a essere uno dei motori del nostro agroalimentare. Nonostante il carico burocratico, un mercato interno che langue e controlli e protocolli fito-sanitari molto più stringenti rispetto ad altri Paesi Ue (circostanza questa che offre maggiori garanzie al consumatore italiano, ma pone i produttori in una situazione di svantaggio competitivo), l'Italia resta sempre un Paese-cardine nella produzione di frutta e verdura. Una fotografia del momento del settore è contenuta nel Rapporto Unaproa-Nomisma, presentato di recente.
Le imprese operanti nel settore sono oggi 491mila. Gli ettari coltivati superano il milione e il valore della produzione è superiore ai 12,8 miliardi, una cifra che qualifica il nostro Paese tra i leader europei. L'Italia si colloca al primo posto per quanto riguarda sia il valore della produzione orticola (20% del totale UE) sia per quella frutticola (20%). Nel primo caso grazie anche al primato comunitario in termini di superfici (18% del totale orticole UE), mentre per la frutta figuriamo al secondo posto (17%) dietro la Spagna. Tuttavia questo sembra non bastare: la congiuntura negativa tra calo dei consumi interni (- 15% tra il 2007 e il 2013) e una quotazione in calo del valore dell'export sul mercato mondiale (attualmente al 3,8%) ha messo a dura prova tutto il settore, particolarmente danneggiato dall'embargo russo. Embargo che ha messo in luce l'incapacità dell'Unione Europea di agire come soggetto protagonista e armonizzare gli interessi dei vari Paesi colpiti.
I consumi ortofrutticoli italiani - che mostravano una crescita debole già prima della crisi (+1,8% a valori costanti tra il 2000 e il 2006, a fronte di un +2,3% per l'insieme di alimentari e bevande) - flettono poi del 15% tra il 2007 e il 2013 (contro un -13,1% dei consumi alimentari). Nel 2014 il consumo pro-capite di prodotti ortofrutticoli freschi si è fermato a 130,6 kg che equivalgono a non più di 360 grammi al giorno (nel 2000 la quantità consumata era superiore ai 400 grammi per 148,2 kg annui), con una riduzione in termine pro capite di 18 kg. A complicare le cose, come già accennato, nell'agosto del 2014 è intervenuto l'embargo russo. L'anno scorso l'export italiano di ortofrutta fresca in Russia si è fermato a 44,3 milioni di euro, evidenziando una caduta complessiva in valore del 39%. Risultati in calo hanno contraddistinto anche le vendite dei principali competitor europei, mentre ne hanno approfittato i Paesi confinanti e al di fuori delle sanzioni, come Turchia, Cina, Bielorussia e Serbia. Più in generale la quota italiana sul'export mondiale di ortofrutta risulta calata dal 5,4% al 3,8% in 10 anni.
C'è poi la questione della disarmonia delle varie normative europee. «Attualmente, nonostante il mercato dei prodotti ortofrutticoli per l'Unione europea sia unico, sia a livello comunitario che a livello nazionale vi è una forte differenziazione delle prescrizioni contenute nei disciplinari e la mancata uniformità di normative e procedure conduce a trattamenti differenti tra operatori di Paesi e regioni diverse, incidendo notevolmente sui costi di produzione» spiega Ambrio De Ponti, presidente di Unaproa, l'associazione dei produttori ortofrutticoli, agrumari e di frutta. «Com'è evidente, questo ha un impatto drammatico sulla competitività di impresa, a tutto discapito dei produttori italiani -che cadono vittima delle maggiori restrizioni e della burocrazia- e dei consumatori stessi.

Lo stesso possiamo dire rispetto alla necessità di armonizzare tra loro procedure e controlli evitando duplicazioni e interpretazioni che penalizzano fortemente le imprese».

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