Cronache

Fuori dal tempo la Genova di Bayter

Fuori dal tempo la Genova di Bayter

Lo sguardo tace per ascoltare la visione. Perché questa è forza, temperamento capace di accogliere eco e ancor più dissonanze, ora per coagularle adesso per lasciarle libere, anche di disperdere le proprie tracce. Così è il segno di Federico Romero Bayter, che torna negli spazi della Galleria Roberto Rotta Farinelli (Via XX Settembre 181 r, Genova) con una nuova mostra, «Tecnica Mixta», ove insieme alle grandi tele - sfida sempre amata e praticata - ecco una fitta serie di opere posarsi su carte a mano, scovate (forse) quasi per caso. Sono proprio queste a porre ancora in maggiore evidenza il carattere del giovane artista di origine colombiana (classe 1981) attivo tra Genova e Milano, con alle spalle già numerosi premi e tante esposizioni. Il suo segno è traccia e quindi corpo ma a priori sentore, fermento, sintesi. In una parola consapevolezza, di quanto nutre, cresce e a volte corrode quello stesso corpo. Che non è quello umano, per quanto ne sia simulacro. Il corpo, lo spazio agito di Bayter, è un orizzonte antropizzato misteriosamente orfano del suo demiurgo. Luogo identitario, sempre, da esperire con i necessari corteggiamenti, magari approfittando di un punto di vista privilegiato o passo dopo passo. È la città questo luogo-corpo, respiro dell'uomo e sfida altissima dove è facile perdersi ma non per lui, che vi recupera e prospetta nuove fughe. Questa città ha il sapore della rovina ma nulla di cinico o postmoderno, anzi. Le altezze, le cupole, i tracciati e i portici riconducono a una dimensione di senso iscritta nell'antico, che porta il respiro a rallentare poiché sono state deposte le armi della tirannia quotidiana. Lo spazio, allora, si riscopre geografia ma soprattutto brano storico e sociale, di esperienza condivisa. Così Genova, dal palazzo della Borsa a piazza della Vittoria, ma anche Parigi con l'Opéra di Garnier in una sorta di temporeggiamento emotivo sulle icone moderne condotto attraverso tagli, scelte e sorti inattese, strumenti per riscoprire il legame archetipo con le appendici dell'uomo. In questo riportare su scala emozionale l'antropico è il bacino portuale a conoscere il più forte dei trasalimenti. Quieto, quasi assorto nel silenzio, comprime e detona il proprio meccanismo interno non per evocare l'industria ma per ricercare il suo senso primo: la sfida, la conquista, l'incanto per nuovi domani. La città era e resta il giardino privilegiato delle consonanze di Bayter, che oggi coltiva nuove essenze: vezzi cerulei e leggerezze di ruggine sono il contrappunto di un'atmosfera che va dimenticando il suo peso di piombo per accarezzare un avorio perlaceo. La città scopre nuovi pesi e misure e presto correrà anche su carte di dimensioni titaniche. Il tutto in questo segno che non conosce frizioni tra disegno e pittura. È movimento e quindi prima progetto, visione del campo decantata internamente. Atto di possesso dove l'oggetto del desiderio trova a sorpresa libertà trasmutando nelle fondamenta quanto negli alzati, nei prospetti e nelle ombre. Lo spazio è luce cui donare materia e la città dimora di equilibrio, forse sedotta da antichi e umidi ritmi colombiani. Il segno di Bayter è allora foglia di ferro, ramo di cemento, che riscrive una città dove i grandi maestri sono ormai alfabeto.

La storia è ancora tutta da scrivere e con nuove parole.

Commenti