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La Gandhi si dimette dal Parlamento: «Basta diffamarmi»

L’opposizione l’accusava di conflitto d’interessi. Resterà alla guida del Partito del Congresso. Dimostrazioni in suo favore

Maria Grazia Coggiola

da New Delhi

Non vuole essere diffamata e a due anni dalla sua famosa rinuncia a occupare la poltrona di primo ministro, Sonia Gandhi si è di nuovo sacrificata sull’altare della politica. In una mossa a sorpresa, si è dimessa ieri dal Parlamento perché il suo seggio da deputato è incompatibile con altri incarichi pubblici retribuiti, almeno così sosteneva da giorni l’opposizione del partito nazionalista indù Bjp, rifacendosi a una legge del 1957. Sonia ha così replicato il “grande gesto” del 2004 che spuntò le armi ai suoi rivali politici e che elevò la sua popolarità alle stelle. All’epoca Sonia disse che aveva seguito la sua «voce interiore», ieri ha detto che «ha fatto la cosa giusta». L’opposizione esulta per aver «sventato un complotto del Partito del Congresso» beccato «con le mani nel sacco» a emendare la legge sull’incompatibilità tra cariche pubbliche. Le dimissioni della Gandhi «sono un tentativo di salvare la faccia del partito» della vedova di Rajiv Gandhi, ha detto Arun Jaitley, portavoce del Bjp (Bharatya Janata Party) e una «vittoria per la democrazia».
La «politica del sacrificio», com’è stata battezzata, sembra però essere vincente agli occhi dell’opinione pubblica. Sonia ha rinunciato al suo seggio di Raebareli, il collegio elettorale della famiglia, in Uttar Pradesh, e anche alla presidenza del National Advisory Council (Nac), supercomitato di indirizzo delle politiche, la carica “retribuita” considerata incompatibile. Non abbandonerà però la politica, anzi ha rassicurato i suoi fedelissimi che hanno inscenato una manifestazione di solidarietà davanti al numero 10 di Janpat Road, la residenza di Sonia, che rimane a capo del Congresso, il partito che ha ereditato dalla suocera Indira e da Rajiv, entrambi assassinati, e resta alla guida anche dell’alleanza di governo, chiamata Upa (United Program Alliance) composta dai partiti socialisti e della sinistra.
«Negli ultimi due giorni – ha detto la signora Gandhi ai giornalisti - alcuni avevano cercato di creare l’impressione che io usi Parlamento e governo a mio profitto». Quindi, ecco le dimissioni che però coincidono con un’infuocata polemica scoppiata in Parlamento sulla decisione di modificare la legge che “squalifica” altri 44 parlamentari e che, fino ad una settimana fa, era largamente sconosciuta.
Sono state le dimissioni dal Senato di Jaya Bachchan, moglie del più famoso attore di Hollywood e che presiede una commissione pubblica sul cinema, a innescare una reazione a catena, culminata ieri con il passo di Sonia Gandhi che ha preso di sorpresa anche i suoi più stretti collaboratori. “Madam”, come viene chiamata, si sarebbe ritirata per un’ora a consulto con i figli, Priyanka e il parlamentare e “erede designato” Rahul, prima di comparire davanti alla stampa. Proprio come nelle grandi occasioni.
Sonia ha giocato di nuovo la carta della moralità che probabilmente le farà guadagnare altri punti. Il primo ministro Manmohan Singh, l’economista dal turbante azzurro che lei ha scelto per traghettare un Paese di un miliardo e passa di abitanti fuori dallo sottosviluppo, ha detto che Sonia «ha dimostrato di essere la più grande leader che il Paese abbia mai avuto». Il «sacrificio di Sonia» è forse una mossa in vista delle elezioni previste nei prossimi mesi in quattro Stati. I successi economici dell’India, con una crescita di oltre l’8% e il nuovo patto atomico con gli Usa, giocano a favore della maggioranza.

Sonia può dormire sonni tranquilli.

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